Rifondazione promette cinque anni di lotta e di governo

«Sulla manovra duello col fioretto tra Padoa Schioppa e Rifondazione». Il titolo è quello di Liberazio-
ne, quotidiano del Prc, di ieri. Che esplicita la tensione tra il partito e il governo. Al di là delle dichiarazioni pacificatorie e minimizzanti di molti dei suoi esponenti. In una sola settimana, quella appena trascorsa, d’altra parte, i casi sono stati più d’uno. De Gregorio ha soffiato la Pesidenza della Commissione Difesa di Palazzo Madama alla senatrice del Prc, Lidia Menapace, facendosi eleggere con i voti del centrodestra. Un’operazione stigmatizzata da tutta l’Unione, ma è stata Rifondazione a chiedere una capigruoppo, che ci sarà domani. Poi, c’è stata l’intervista di Prodi a Die Zeit, in cui il Professore, che poi ha dovuto smentire, dava la definizione «folkloristici» a Rifondazione e Pdci. Dopodiché, venerdì Ferrero si è impuntato sulle deleghe al suo ministero in Cdm, tanto che avrebbe chiesto una verifica di governo. E nello stesso giorno Alfonso Gianni (che in un primo momento ha anche minacciato di dimettersi) e le minoranze del partito hanno criticato la manovra bis voluta da Padoa Schioppa. E su questo c’è stato uno scontro con il segretario, Giordano. La partita della manovra non è ancora chiusa. «La divergenza esiste – dichiara Gianni – ma la manovra ancora non c’è. Se la fanno in modo che non abbia effetti collaterali devastanti, per noi va bene». È chiaro che la domanda sorge spontanea: se questo non accadesse, cosa succederà? Gianni si limita a dire: «Discutiamo, discutiamo, discutiamo». Più duro Claudio Grassi, leader della minoranza più grande del partito, l’Ernesto: «Siamo abbastanza preoccupati relativamente a questa manovra, perché si poteva cercare in prima battuta di chiedere alle istituzioni europee una dilazione maggiore per la restituzione del debito, come hanno fatto Francia e Germania. La nostra preoccupazione deriva dal segno che viene dato da questo governo, che sembra non tener conto del problema della quarta settimana, di salari e pensioni troppo bassi». Anche in questo caso la domanda è: non c’è il rischio che la distanza dal governo sia troppo grande? Grassi dichiara: «Siamo disposti a trattare. Vorremmo che venisse rispettato quello che c’è scritto nel programma. Rigettiamo la politica dei due tempi del governo: si deve attuare da subito una redistribuzione del debito. Chiediamo che ci sia un’attività in questa direzione. Dopodichè valuteremo».
Non si può non ricordare che proprio su questioni economiche Rifondazione Comunista nel ‘98 non votò la fiducia al governo Prodi, facendolo cadere. Il no fu alla Finanziaria, dopo settimane di braccio di ferro. E un altro no era nell’aria a un eventuale intervento della Nato nel Kosovo. Grassi dichiara: «Non vogliamo ripetere il ‘98, ma il governo non può riproporre la politica che ha fatto fallire quell’esperienza».
Come nel ‘98, in politica estera, le posizioni sono diverse. Per quanto sull’Iraq si sia raggiunto l’accordo di ritiro subito, rimangono i distinguo.
E all’orizzonte si staglia il caso Afghanistan: Prodi ha rassicurato la Nato che i soldati italiani non lasceranno il paese. Mentre Franco Giordano ha detto a chiare lettere che ci vorrebbe il ritiro. Non è un mistero che Rifondazione è sempre stata contraria, ed ha sempre votato contro il rifinanziamento di quella missione. «Dobbiamo accelerare il confronto sull’Afghanistan. Fare un bilancio di quella missione, e poi trovare un accordo», dichiara Gennaro Migliore, capogruppo del Prc a Montecitorio. Giordano ancora venerdì ha dichiarato «saremo il presidio del programma dell’Unione», ma proprio perché un accordo non si è raggiunto, l’Afghanistan nel programma non c’è. E Migliore afferma: «Stiamo riuscendo a spostare a sinistra l’asse dell’Unione. E lo stiamo facendo solo noi», che così lancia anche una stoccata a Verdi e Pdci. Il capogruppo del partito a Montecitorio non ci sta ad avallare la teoria del muro contro muro. E neanche, ironicamente, quella del muretto contro il muretto. Ma una cosa la dice, e che la tensione sarà costante, lo ammette: «Tutti i 5 anni saranno così». E poi precisa: «Qualche volta per nostre posizioni, qualche volta per quelle di altri».
Anche in quel fatidico ‘98 che fu l’inizio del percorso che consegnò a Berlusconi l’Italia per 5 anni si procedette con continue tensioni e svolte. E fu Fausto Bertinotti alla fine a parlare di «logoramento del governo».
Il Ministro del Welfare, Paolo Ferrero, dal canto suo getta acqua sul fuoco. E nega tutto: «Non è vero che ho minacciato dimissioni. E neanche che ho chiesto la verifica. Ma non era giusto svuotare l’unico ministero di Rifondazione delle sue deleghe». E poi fornisce la sua interpretazione: «Sul caso Menapace, il Prc ha perso la Presidenza della Commissione Difesa, su Die Zeit abbiamo subito quelle definizioni. E poi, ci volevano togliere delle deleghe. Mi sembra che Rifondazione non abbia fatto proprio niente…»