Rifondazione è sull’orlo del precipizio e Giordano propone di fare un passo avanti.

Ieri si è svolta la riunione della direzione di rifondazione (allargata all’esecutivo e ai gruppi parlamentari). Su Liberazione di oggi si possono leggere gli articoli e la relazione di Giordano. www.liberazione.it . All’ordine del giorno la crisi di governo e il mandato per la delegazione che sarà consultata lunedì dal Presidente della Repubblica.

Di questa riunione do un bilancio negativo.

Per i seguenti motivi:

1) nella relazione di Giordano, a parte le scontate e già conosciute posizioni contro Mastella, centristi vari e poteri forti, non c’è stata una seria disanima degli errori che abbiamo fatto noi e che ha fatto il resto della sinistra, sindacato compreso. Continuo a pensare, e continuo a non avere risposte serie su questo punto, che una volta bevuta la finanziaria del 2006, che riproponeva nei fatti la politica dei due tempi (contraddicendo esplicitamente il programma di governo che lo escludeva categoricamente), non si doveva accettare la logica della “riduzione del danno”. Si doveva, e si sarebbe potuto, aprire una grande discussione nel paese scegliendo esplicitamente il terreno delle pensioni e della precarietà come la questione principale, anche se non esclusiva, per decidere se rimanere o no al governo. Non limitandosi a chiamare in piazza il 20 ottobre centinaia di migliaia di compagne e compagni ma coinvolgendoli realmente anche sulla decisione da prendere alla fine del percorso. Così, infatti, avevamo deciso di fare votando un ordine del giorno nel Comitato Politico Nazionale di luglio. Se avessimo fatto in questo modo avremmo discusso nel paese, con i lavoratori, nei movimenti ed anche con quel non meglio definito popolo della sinistra, di problemi reali e avremmo prodotto una reale partecipazione, suggellata da un referendum vincolante. Credo che così Prodi, ma non ne possiamo avere la controprova, avrebbe dovuto confrontarsi, invece che eluderla, con la banale richiesta di applicare il suo programma. Non è detto, cioè, che il governo sarebbe stato automaticamente messo in crisi. E nel caso fosse caduto ognuno avrebbe potuto capire il vero perchè. Invece di fare tutto questo, e lo posso dire a voce alta perchè l’ho proposto per tempo, si è cominciato a parlare di crisi irreversibile della sinistra, di un’unità senza basi che non fossero suggestioni e si è, nei fatti, subordinato il rapporto con il governo rispetto al rapporto unitario con altri tre partiti che hanno il governismo iscritto nel dna. In questo modo non si poteva che arrivare all’appuntamento del protocollo sul welfare deludendo tutti, a cominciare dai manifestanti del 20 ottobre, ricattati da un’eventuale caduta improvvisa del governo e così via.

2) Non condivido la proposta di dar vita ad un governo istituzionale. La considero negativa perchè se è vero che la politica è sempre più separata dalla società, la crisi provocata da Mastella e da Dini e soci è l’apoteosi di questa separatezza. E noi dovremmo far di tutto per non apparire, anzi per non essere interni a giochi e manovre di palazzo totalmente slegati dalla realtà sociale del paese. Intendiamoci, se ci fosse la garanzia di una nuova legge elettorale proporzionale e non maggioritaria e se non montasse la voglia, per altro ben espressa da Montezemolo, di gestire la politica economica con un governo tecnico, se ne potrebbe, per me, anche parlare. Ma le cose non stanno così. Mi si scuserà la pedanteria, ma una discussione di tale importanza non si può fare in modo superficiale. Per esempio, dire che rifondazione mette condizioni sul tipo di legge elettorale da farsi con il governo “di scopo”, è totalmente infondato. Rifondazione può, anche perchè determinante, ottenere che si formi un governo a scadenza, e può ottenere dagli altri partiti che sostengono tale governo un impegno sul modello tedesco. Ma, una volta formato il governo non c’è alcuna garanzia che poi lo stesso, per una contingenza economica o internazionale (crisi finanziarie o Kosovo per esempio) non si doti di un’altra missione anche, magari, con una maggioranza più larga e senza di noi. Sulla legge elettorale, poi, è il parlamento ad avere l’ultima parola e, a governo insediato, nessuno potrebbe impedire che Forza Italia giochi la sua partita, magari riprendendo l’accordo con Veltroni. Potremmo, cioè, essere usati e gettati, ritrovandoci con una legge ben peggiore di quella vigente, che comunque permette la nostra sopravvivenza nelle istituzioni. Insomma, penso che dopo una simile crisi devastante sarebbe stato meglio dire subito e chiaro che avremmo proposto a tutte le altre forze di sinistra di presentarci autonomamente dal PD con una nostra coalizione e con un programma marcatamente di sinistra. Non mi nascondo la difficoltà di una simile scelta, ma non so in quale altro modo si possa sperare di essere “perdonati” per la nostra evidente inutilità al governo e tentare di ricominciare il cammino di costruzione della sinistra alternativa.

3) Non sono d’accordo sulla ennesima accelerazione dell’unità a sinistra, tanto meno senza avere sciolto il tema del rapporto con il centrosinistra. A dimostrare l’inconsistenza della proposta, che non può più nemmeno essere coperta dalla retorica dell’unità fine a se stessa, negli ultimi giorni ci sono state almeno due novità. Il PdCI cerca di lucrare per la propria bottega unendo la difesa dell’identità comunista alla riproposizione del centrosinistra come orizzonte strategico. Mussi, mentre Giordano parlava alla direzione, ha detto chiaro e tondo su un’agenzia stampa che “quando si arriverà al voto bisogna presentarsi con una lista unitaria. Compito di questa formazione è di dire al Partito Democratico che si deve lavorare per un nuovo centrosinistra che governi l’Italia”. Come si possa imperterriti proporre un’accelerazione del processo unitario, la presentazione di una lista unica (anche senza il PdCI, con quali effetti elettorali non è difficile immaginarlo, e probabilmente senza i Verdi) che avrebbe autonomia solo per scelta dal PD e non per vocazione, io non lo so proprio!

In ogni caso questa è la discussione.

Sul modo di condurla, però, vorrei dire alcune cose, spero chiare.

Non si può prendere una simile decisione senza che le iscritte e gli iscritti al PRC, senza che le associazioni e le persone della Sinistra Europea, siano coinvolti in modo partecipato. Non è accettabile che un gruppo dirigente per giunta diviso in correnti (e parlo della maggioranza che governa il partito), possa decidere in modo oligarchico qualcosa che, oltre a cambiare le linee di fondo della stessa identità politica del partito (e non parlo della falce e martello o della fissa identità ideologica), potrebbe mettere in discussione la stessa esistenza di rifondazione comunista e più in generale di una sinistra non subalterna al Partito Democratico.

27/01/08