Rifondazione. Dopo l’intervista di Prodi, Folena propone un referendum

NON BASTANO LE PRIMARIE SULLA POLITICA ESTERA

Il rapporto tra Prodi e Bertinotti è appeso a un filo, che però nessuno dei due sembra avere la minima intenzione di recidere. E’ tutta una questione di equilibrio. Nell’intervista di ieri al Corriere della sera – cui oggi Bertinotti risponde dalle stesse colonne – quel filo Prodi ha rischiato di spezzarlo una volta sola. «Se capisco bene ci sarà il presidente del Consiglio e la politica estera sarà la sua. Giusto?» domanda Franco Venturini. «Esattamente – risponde il Professore – perché sarà la politica democraticamente decisa dall’Unione».
Naturale che dentro Rifondazione una simile affermazione non passi inosservata, tantomeno in un’intervista in cui si parla di non ritirare le truppe dall’ Afghanistan e di quali tipi di intervento armato «possano essere giustificati». Ma a riprova dell’assunto iniziale, le dichiarazioni degli esponenti della maggioranza bertinottiana sono assai misurate. «Anche in vista del vertice Nato – auspica Elettra Deiana, capogruppo in commissione Difesa – sarebbe opportuno che Prodi prendesse in considerazione le posizioni non solo di Rifondazione comunista, bensì della gran parte della popolazione italiana che ha espresso una scelta pacifista». Sulla stessa linea Franco Giordano: «Siamo contrari alla posizione di Prodi sull’ Afghanistan e pensiamo di essere in ottima compagnia, in sintonia con la maggioranza pacifista del paese». Per il capogruppo alla Camera del Prc occorrerà «aprire una discussione», perché chi vince le primarie «ordina il confronto programmatico, ma sul merito poi si discute». La linea tracciata a suo tempo da Bertinotti sembra dunque tenere anche sul tema più delicato: nessun veto e nessun ultimatum, nella convinzione che da una libera discussione all’interno del centrosinistra, su molti temi e proprio a cominciare dalla pace, alla fine potrebbero essere proprio i riformisti a ritrovarsi in minoranza.
Resta il fatto che chi in minoranza c’è già, dentro Rifondazione, nell’intervista prodiana trova invece la conferma delle proprie critiche. La minoranza trotzkista in particolare non può digerire la nuova linea della “discussione permanente” dentro l’Unione. Dice Salvatore Cannavò (area Sinistra critica): «Prodi conferma che il suo programma è il multilateralismo. E il multilateralismo negli anni ’90 ha avuto la faccia della concertazione tra Usa ed Europa in politica estera, producendo la guerra nel Kosovo e più tardi quella in Afghanistan. Per Prodi quest’ultima aveva il pregio di essere concordata mentre l’Iraq aveva il difetto di essere unilaterale, noi invece siamo contrari sia al multilateralismo sia all’unilateralismo, perché siamo semplicemente contro la guerra». Malabarba è ancora più duro: «Noi faremo opposizione a un governo che perseguisse un simile orientamento di politica estera».
Non è meno ostile il giudizio di Claudio Grassi, leader della minoranza più forte, la cosiddetta area dell’Ernesto: «Bertinotti ha sempre detto che sui temi della guerra e della pace non c’è discussione che tenga. Prodi deve sapere che se partecipasse a interventi armati, un minuto dopo Rifondazione lascerebbe il governo. E penso che sulle missioni militari italiane all’estero nel programma dovrebbe essere scritto in modo inequivocabile qual è la posizione dell’Unione». Va da sé che qualora la posizione fosse quella espressa da Prodi, per Grassi l’unico accordo pensabile sarebbe una qualche forma di alleanza «tecnico-elettorale».
Thtti i principali esponenti delle minoranze interne sono convinti che «Prodi e Bertinotti si tengano», che il primo abbia bisogno del secondo per rispondere alle pressioni che gli vengono da “destra” (in particolare da Rutelli) e che il secondo abbia bisogno del primo per tenere a bada le critiche che gli piovono dalla sua sinistra. Un’analisi che contiene più di un grano di verità.
Non a caso Pietro Folena sottolinea lo spirito «costruttivo e coalizionale» mostrato dal Prc nella battaglia contro il proporzionale. «E’ chiaro che il clima è cambiato e nessuno oggi deve mettere veti o emettere ultimatum». E pur non condividendo le dichiarazioni di Prodi «né nel merito né nel metodo» e mettendo in guardia da <