Rifondazione Comunista e l’unità del Partito

Quali sono i motivi di un così alto numero di documenti, al nostro Congresso? Nei Circoli vi è uno sconcerto che non va rimosso, essendo l’altra faccia del desiderio di unità. Su ciò mi pare non si sia riflettuto: provo a farlo. Primo: il processo di rifondazione comunista non ha avuto corso e le varie scuole comuniste confluite nel Prc non hanno trovato quella sintesi che doveva unirle in un nuovo progetto politico e teorico; secondo: il rifiuto teorizzato della sintesi ( concepita anch’essa come retaggio del ‘900) non ha aiutato questo processo: lo ha ostacolato.
Il nostro Partito non è nato – come quello di Gramsci – sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre, ma nella fase più critica del movimento comunista e di questa fase la difficoltà a mettere a fuoco un progetto comunista rifondato ne è il segno più chiaro.
Cosa si doveva fare, per avviare un processo fecondo e – insieme – tenere unito il Partito?
Si doveva concepire la rifondazione comunista come una ricerca alta, una discussione aperta, libera, che vedesse impegnato e coinvolto il corpo del Partito ( e intellettuali e operai esterni al Partito) in un confronto vasto, democratico, partecipato su tutti i grandi temi della storia e dell’attualità del movimento comunista: una lunga ricerca comune volta ad una nuova sintesi, non alla riproposizione e alla vittoria esangue dell’una o dell’altra scuola e all’emarginazione delle scuole in minoranza.
Ciò che soprattutto occorreva fare era non impiccare la discussione sui grandi temi al voto congressuale, trasformando la necessità della ricerca in una misera lotta per la conquista dei gruppi dirigenti o, peggio ancora, per cariche istituzionali.
Non si doveva sottoporre a referendum congressuale l’abolizione di una categoria così difficile come quella dell’imperialismo, cogliendo come unici obiettivi la divisione nel Partito e l’irrisione della Storia. Non si doveva sancire, tramite decisioni dall’alto o improvvisate interviste, l’assunzione, a nome di tutto il partito, di concezioni quali l’angelizzazione della Resistenza, la non violenza gandhiana, la distanza dalla Resistenza irachena; come non si doveva cancellare il movimento comunista del ‘900, la Rivoluzione d’Ottobre, Lenin e la presa del potere rivoluzionario. Poiché non vi è soltanto un problema di democrazia interna ( chi decide per chi, attorno a temi così costituenti?) ma perché così si contraddice lo spirito della rifondazione comunista e si rischia di finire ( come è accaduto) per innamorarsi di Bad Godesberg ( tra le più note svolte socialdemocratiche) e di Norberto Bobbio ( il filosofo liberale che si dichiarò a favore della prima guerra contro l’Iraq).
Il processo di rifondazione doveva passare attraverso una critica del nostro passato, da vivere come una lezione e non come un ingombro, per poi costruirsi sull’analisi delle attuali contraddizioni dello sviluppo capitalistico.
A fronte del mancato processo rifondativo è probabile siano scattati meccanismi compensativi, volti a dare comunque corpo al nostro Partito: una corposità politica non tanto derivante dall’essere soggetto centrale del conflitto di classe ma dall’essere protagonista della dinamica dell’alternanza.
Sta forse qui il nesso tra distacco dalla cultura comunista e ripiegamento su di una linea governista, tale non tanto perché punta ad alleanze per battere le destre, ma perché, non imponendo la questione del programma, impedisce, oggi, la costruzione di una passione popolare per l’alternativa, subordinando domani il Partito alle prevedibili politiche moderate del centro sinistra.
Assistiamo ad un tentativo di calare dall’alto un confuso apparato egemonico: da ciò la disunità del Partito.
Rifondare è il contrario: scavare, confrontarsi, non per un’effimera vittoria congressuale, ma per unirsi in un progetto comunista all’altezza dello scontro di classe. E’ questo spirito e questo progetto che troviamo nel documento ESSERE COMUNISTI : il più aperto alla rifondazione comunista, dunque il più unitario.