Rifondazione al bivio tra Prodi e la Fiom

La lunga giornata dei comunisti di lotta e di governo si è aperta alle 9 del mattino, sulle onde di Radio Popolare: è lì che il sottosegretario allo Sviluppo Alfonso Gianni, amico personale di Fausto Bertinotti, a domanda ha risposto: «Uno sciopero contro il Dpef? Non sta a me dirlo, non sta a me proclamarlo, ma la cosa mi farebbe piacere». Battuta che restituisce gli umori in circolazione in queste ore tra i dirigenti di Rifondazione comunista, partito-epicentro dei movimenti tellurici in corso per la vicenda delle pensioni. Battuta originale perché invocare uno sciopero contro il Dpef ha l’aria di un riflesso autolesionistico, se si pensa che il documento di programmazione economica e finanziaria, presentato la settimana scorsa in Consiglio dei ministri, è stato approvato all’unanimità, col voto politicamente rilevante del ministro Paolo Ferrerò, a nome di Rifondazione comunista.
Ma in queste ore, nel partito un tempo guidato da Fausto Bertinotti, grande è la tensione sotto il cielo. Esattamente come 9 anni fa al Prc si ripropone un dilemma lacerante: staccare o no la spina del governo? Un dilemma che 9 anni più tardi si arricchisce di un ulteriore quesito: stare con Prodi o con la Fiom, che vuole sbaraccare lo scalone tutto e subito? Fausto Bertinotti, per quanto asceso a più alti incarichi, non avrebbe mai voluto che si riproponesse per il “suo” partito lo stesso dilemma del 1998. Per Rifondazione – e soprattutto per il suo leader carismatico – quello strappo costò un’ondata “antipatizzante” di lun-

ga durata e nel tempo si è trasformato in una sorta di inconfessabile complesso, Il dilemma si ripropone in questi giorni e non è certo casuale la riunione a porte chiuse convocata per oggi e domani a Segni alle porte di Roma dal segretario di Rifondazione Franco Giordano con gli esponenti della maggioranza del partito. Un’area oramai divisa in due tendenze, una più vicina al segretario e un’altra più dichiaratamente bertinottiana.
La linea di divisione è ancora mobile e per il momento è limitata alle opzioni strategiche: fare un nuovo partito con gli ex ds di Fabio Mussi o allargare Rifondazione lungo il solco della Sinistra europea? Anche se è questo il bivio che più appassiona il gruppo dirigente del Prc, nel “conclave” di Segni nessuno potrà eludere l’enigma di questi giorni: quale accordo per le pensioni? Oramai Rifondazione ha fatto dell’abolizione dello scalone una questione di principio, quasi una questione ideologica. Ma ieri sera, da palazzo Chigi hanno fatto sapere a Rifondazione, che dopo gli appelli dell’Europa e dopo una accurata analisi dei conti, «non ci sono margini per un accordo capace di abbattere integralmente e immediatamente lo scalone».
E alla luce di questo annuncio, ieri sera un dirigente di Rifondazione vicino a Giordano ammetteva a bassa voce: «Il vero dilemma che abbiamo ora è questo: Prodi o la Fiom? Se la Fiom resta contraria ad un accordo, noi non possiamo staccarci dal sindacato dei meccanici…». In questi mesi uno dei leader della Fiom, Giorgio Cremaschi, ha lavorato per creare un’area dura e pura dentro Rifondazione, il segretario Giordano non intende lasciargli spazio, neppure se la maggioranza della Cgil decidesse di appoggiare un testo di compromesso del governo. Ma alla più recente dietrologia – Rifondazione, per riprendere “fiato” punta ad un governo Veltroni – Gennaro Migliore presidente dei deputati del Prc replica così: «E’ del tutto fuori strada chi pensa che il nostro irrigidimento è propedeutico ad un nuovo governo. Questo governo può levare lo scalone, un altro lo terrebbe. E a noi più di ogni altra cosa interessa difendere i diritti dei lavoratori».