«Rifondare un partito comunista Sì ad una costituente dei comunisti»

Da quando Gian Antonio Stella, un paio di anni fa, lo ha paragonato allo Strelnikov del “Dottor Zivago”, gli amici, per prenderlo in giro, lo chiamano così. D’altra parte lui è quello che, qualche mese fa, è balzato agli onori della cronaca per avere esclamato, nell’austera Aula del Senato, che la Rivoluzione d’Ottobre (sì, proprio quella del ’17) «va annoverata tra i più grandi eventi della storia dell’umanità» e che «ancora oggi i fascisti e le destre sono i servi del potere. Noi comunisti siamo coi lavoratori. Per cui viva la Rivoluzione, viva Gramsci, viva Di Vittorio, viva i morti di Reggio Emilia, viva il socialismo!». Nel frattempo è caduto il governo; le elezioni hanno spazzato via la sinistra; a Palazzo Chigi è saldamente insediato un esecutivo che più di destra non si può e che, come ha sottolineato il leader dell’Udc Casini, ha un potere che nemmeno la Dc ha mai avuto. Ma Fosco Giannini, ormai ex senatore del Prc e direttore dell'”Ernesto”, va dritto per la sua strada e non rinnega una virgola. Solo che non ci sta a farsi dare dello stalinista e respinge al mittente l’accusa di volersi rinchiudere in “recinti identitari”: «Non mi è piaciuto Paolo Ferrero quando, nella recente intervista a Liberazione , ha detto che qualcuno vuole imbalsamare il comunismo “nei baffoni di Stalin”. La trovo una caduta di stile che da lui non mi aspettavo. Possibile che anche da sinistra si debba sempre mettere in relazione il lavoro per il rilancio del comunismo con lo stalinismo? Per noi il comunismo è elettrificazione che non distrugge l’ambiente, è il soviet come democrazia socialista ed è anche liberazione individuale e collettiva».

Ma ammetterai che dire che “i comunisti sono con i lavoratori” di questi tempi suona un po’ velleitario.
No, i comunisti o sono con i lavoratori, difendono gli interessi di massa, sono anticapitalisti e antimperialisti o non esistono, non hanno ragione d’essere.

E’ per questo, secondo te, che la sinistra ha clamorosamente perso le elezioni?
La sconfitta ha basi materiali e la prima è la delusione derivante dalla partecipazione al governo. In occasione del dibattito sul protocollo sul welfare, proposi di uscire dal governo per non essere complici di quella operazione. Mi si disse di no. Allora chiesi di poter votare in dissenso, mi si rispose “espulsione”. Non mi rimase che evitare l’espulsione per non abbandonare la battaglia interna, come mi chiesero di fare molti operai. La seconda causa della sconfitta è nella violenza con cui il Prc è stato trasformato in un soggetto diverso e sconosciuto, senza alcun pathos sociale: da partito comunista autonomo a soggetto ibrido, senza forza di attrazione. Sono testimone della grande difficoltà dei compagni ad andare nei quartieri a chiedere il voto per la Sinistra arcobaleno: non c’era alcuna spinta ideale. D’altra parte, Bertinotti ha mortificato i militanti parlando del comunismo come “tendenza culturale” e sappiamo bene, perché è stato detto in modo esplicito, che la campagna elettorale non doveva servire solo a raccogliere voti, ma anche a costruire il nuovo partito. Tutto ciò ha allontanato un elettorato confuso e già deluso dal governo Prodi.

Perché avete detto no alla proposta di fare un congresso a tesi emendabili?
Perché occorrono posizioni chiare. E’ in gioco la natura profonda del nostro partito; dobbiamo dire chi siamo e cosa vogliamo. O partito di sinistra o partito comunista: non sono ammesse ambiguità e non si possono prendere in giro gli iscritti.

E invece tu vuoi rilanciare Rifondazione comunista?
Premetto che sono stato innamorato di Rifondazione. Credo di aver contribuito a costruirla prima ancora che nascesse, grazie alla lunga battaglia dentro il Pci contro la Bolognina. E soprattutto sono stato innamorato del suo spirito originario. Quello, appunto, della rifondazione comunista, un progetto con basi teoriche e politiche all’altezza dei tempi e dello scontro di classe – né liquidazionista né dogmatico – per un partito comunista di massa. Per questo nel congresso mi batterò per la salvezza e il rilancio del Prc. E vorrei sottolineare la novità, nella storia del Prc, della mozione alla quale l'”Ernesto” ha aderito e lavorato. Essa è il frutto di un vasto lavoro di base, che ha unito l’area dell'” Ernesto”, gli autoconvocati di Firenze e Roma, i compagni/e dei “cento circoli”, aree della ex maggioranza bertinottiana, la Sinistra critica e gli ex ferrandiani rimasti. Insomma, militanti che vengono da posizioni diverse e che però hanno in comune l’obiettivo, come recita il titolo della mozione, di rifondare un partito comunista per rilanciare la sinistra, l’opposizione e il conflitto sociale.

E perché, allora, non vi siete alleati con Ferrero-Grassi-Mantovani? Anche loro vogliono ripartire dal Prc.
Analizziamo le mozioni in campo. Noi ci contrapponiamo frontalmente a quella di Vendola, ma riconosciamo che ha una sua (triste) onestà: si parla esplicitamente di costituente di sinistra, si va oltre il comunismo: lo dicono chiaramente. Quella di Ferrero, invece, è ambigua. Riassume gran parte delle istanze bertinottiane, compresa la Sinistra europea. Se Vendola propone la costituente della sinistra, Ferrero propone una sorta di Izquierda unida italiana: rispetto a Vendola, se non è zuppa è pan bagnato. Ricordo che le forme dell’Izquierda (in Grecia, in Spagna, in Finlandia) hanno avuto risultati disastrosi e portano in sé la liquidazione dei partiti comunisti. La stessa Die Linke è una forza socialdemocratica di sinistra, non comunista.

Mica penserai davvero che Rifondazione può farcela da sola? Non ti poni il problema dell’unità della sinistra?
La nostra proposta di rilanciare il progetto originario del Prc, quello di costruire un partito comunista radicato e autonomo, non è in contraddizione con l’esigenza dell’unità a sinistra. Oggi, contro il governo Berlusconi, contro l’attacco al contratto nazionale di lavoro, contro le leggi razziali, contro le politiche di guerra e la subordinazione alla Nato l’esigenza primaria è l’unità sul campo, nelle lotte, dei comunisti e della sinistra. Una unità di lotta volta anche alla costruzione di un nuovo blocco sociale per battere strategicamente le destre. Ma l’unità sul campo è una cosa positiva, mentre la precipitazione organizzativistica verso l’Arcobaleno o l’Izquierda è la morte dei comunisti e della sinistra. E comunque per fare l’unità è indispensabile un partito comunista forte. Per restare a tempi recenti, c’è l’esempio del referendum sull’articolo 18, dove il protagonismo del Prc è stato decisivo per raccogliere una grande forza; o quello del 20 ottobre, dove l’autonomia di Prc e Pdci ha prodotto una manifestazione da un milione di persone sotto il segno delle bandiere rosse. Insisto: la prima e la seconda mozione propongono, in forme diverse, la stessa linea: il superamento del Prc. Solo la nostra mozione rilancia il progetto originario e autonomo della rifondazione comunista.

C’è anche la proposta di una costituente comunista.
E’ singolare che questa proposta sia stata liquidata così in fretta, sia da Giordano che da Ferrero, proprio mentre si parla tanto di unità. Insieme, Prc e Pdci avrebbero sui 150 mila iscritti e nel 2006 hanno preso tre milioni di voti. Insieme potrebbero tornare ad essere un soggetto catalizzatore della vasta diaspora comunista italiana; Perché non tentare? Finora ho sentito una sola obiezione e cioè che il Prc ha fatto un percorso di innovazione al quale il Pdci è estraneo. Mi limito a dire che queste supposte innovazioni in verità non sarebbero di impedimento: di cancellazione della categoria di imperialismo non parla più nessuno e nemmeno il Prc considera la nonviolenza come fine del conflitto sociale; e il Pdci non pensa certo di prendere le armi e assaltare – lunedì prossimo – il Palazzo d’Inverno.

Tu dici: stare con i lavoratori. Ma i lavoratori, così pare, votano Lega nord. Tanto che molti sono convinti che non sia più il lavoro il terreno sul quale agiscono le contraddizioni.
Pensare così è un drammatico errore. Quella tra capitale e lavoro è sempre più la contraddizione centrale e il tentativo di liquidarla è stato alla base delle pseudoinnovazioni e dell’occhettismo. Oggi siamo di fronte al più massiccio spostamento di ricchezza dai salari al profitto degli ultimi 50 anni e il capitale trae un denso plusvalore da forme di sfruttamento vecchie e nuove: sul lavoro salariato, sul lavoro precarizzato, sul lavoro degli immigrati, sul lavoro disperato delle periferie metropolitane. Se i lavoratori non ci votano è perché non li sappiamo rappresentare e non stiamo dalla loro parte. Non si possono cancellare le responsabilità; per rimuovere le tue colpe affermi che sono cambiati i rapporti sociali: è una stravaganza non innocente, è autoassoluzione. Quando Alfonso Gianni, col quale condivido poco ma che è persona intelligente, dice che il nostro popolo è stato privato di “senso” e il nostro compito è quello di ricostruire tale senso, ha ragione. Ma mi chiedo: perché Bertinotti (con Gianni e Ferrero “complici”) aveva affidato il ruolo di “intellettuale collettivo” allo spontaneismo sociale ? E chi può ricostruire il senso necessario se non una forza comunista e una sinistra anticapitalista? E’ la lezione di Gramsci…

Voi dell'”Ernesto” difendete strenuamente il simbolo della falce e martello. Pensi davvero che sia così importante?
Coloro che ci accusano di essere identitari e di portare l’anello al naso lo fanno con supponenza e nel contempo con paura, poiché sanno bene che la questione che poniamo non è quella della falce e il martello in sé. Potremmo rovesciare la domanda: se falce e martello non sono così importanti perché li cancellate? In verità sappiamo – e sanno – che vi è un rapporto preciso tra la cancellazione della cultura e dell’autonomia comunista e quella dei suoi simboli. Noi diventeremo obsoleti se abdicheremo al nostro compito: la lotta per il socialismo. E non diventeremo “moderni” solo perché al posto della nostra gloriosa bandiera rossa isseremo quelle – vecchie, socialdemocratiche e fallimentari – dell’Izquierda o dell’Arcobaleno