In un articolo scritto nei primi giorni di dicembre per il sito “Left.ru”, il marxista russo Vladimir Orlov, prende a pretesto la questione dell’approvazione da parte della Duma di una legge che limita fortemente il finanziamento estero delle organizzazioni non governative operanti nel paese, per sviluppare un più ampio ragionamento in merito alle caratteristiche dello scontro di classe attualmente in corso in Russia e per sollecitare il movimento comunista a schierarsi con nettezza contro le manovre eversive fomentate dall’imperialismo USA.
Questo contributo di Orlov si aggiunge ai numerosi documenti che il nostro sito ha presentato nell’ultimo anno, nell’intento di fornire elementi utili alla comprensione dei temi fondamentali attorno a cui si articola l’intenso (a volte aspro) dibattito in corso tra gli intellettuali e i militanti della sinistra russa.
Torneremo certamente ancora sull’argomento nei prossimi numeri di “Nuove resistenti”.
Lo scorso lunedì al dipartimento di Stato USA si è svolta una riunione in vista dell’imminente visita del sottosegretario Burns a Mosca. Il tema principale della discussione è stato quello in merito alla recente approvazione da parte della Duma di Stato della legge sulle organizzazioni non commerciali.
“I responsabili del dipartimento di Stato sono indignati per il progetto di legge sulle organizzazioni non commerciali, che di fatto impedisce loro di essere finanziate dall’estero. Se prima ci sembrava che la Russia fosse un nostro partner e che il Cremlino collaborasse con noi, ora pare che i russi mostrino un atteggiamento diverso. Dopo la formazione di un parlamento virtuale, in cui sono praticamente assenti partiti indipendenti, ci vengono ora proposte organizzazioni non commerciali virtuali, che verranno finanziate dal governo della Russia…L’approvazione della legge nella forma attuale impone alla Casa Bianca di rompere il silenzio su ciò che l’amministrazione Putin sta facendo sia in Russia che negli stati vicini della CSI” – comunica una fonte del dipartimento di Stato.
Queste parole, pronunciate dagli americani, rivelano fino in fondo la sostanza delle attuali relazioni internazionali, la sostanza delle relazioni tra Russia e USA.
Sarebbe facile mettere in discussione la politica di Putin, di “Russia Unitaria”, del governo, della Duma di Stato, ecc. Potremmo sottoporre a processo questa politica per il livello estremamente basso delle condizioni di vita dei più vasti strati della popolazione, per la spogliazione senza precedenti delle generazioni più anziane avviata con la “monetizzazione” delle concessioni speciali. E’ fin troppo semplice attribuire queste sciagure al “regime di Putin”. Ma in realtà le cause di tali sciagure stanno da tutt’altra parte. E’ proprio con l’introduzione del capitalismo dall’esterno, mediante l’applicazione delle ricette del Fondo Monetario Internazionale e di Washington, che venne creato il sistema, che presupponeva il totale (per la verità, quasi totale) annientamento dell’industria, la spogliazione di milioni di persone attraverso le speculazioni del mercato azionario, la perdita dell’autonomia e dell’indipendenza da parte della Russia, l’instaurazione di un regime compradore.
E’ assolutamente evidente che gli oligarchi non sono spuntati dal nulla. Gli USA hanno trovato e preparato persone che odiavano l’URSS, ma che contemporaneamente nutrivano un grande appetito per le sue colossali ricchezze. Queste persone, conquistate le leve del potere, hanno cominciato a depredare un settore dopo l’altro, un’azienda dopo l’altra, una regione dopo l’altra, un territorio dopo l’altro. Gas, petrolio, carbone – tutti i principali settori strategici dell’industria – sono passati nelle mani di poche persone, che fin dall’inizio avevano guardato alla Russia come ad una fonte di insperato arricchimento, che si erano rivolte alla Russia non come ad una Patria, ma come ad un pozzo da prosciugare.
Gli USA hanno dato il proprio consenso a tutto ciò. Tutto il ventesimo secolo si è svolto sotto le bandiere della lotta tra due sistemi mondiali: il sistema mondiale capitalista e il sistema mondiale socialista. A partire dagli anni ’60 nella politica del PCUS è cominciato a prevalere il revisionismo di destra, che, sebbene all’inizio si presentasse in forma mascherata, ha finito per travolgere ogni difesa. Negli anni ’80 la disfatta del PCUS si è consumata. La crisi nel partito si è accompagnata alla crisi della società. Da tempo gli USA attendevano il momento per sferrare il colpo decisivo. E questo momento è arrivato. Gli americani sono riusciti nell’intento di piazzare loro agenti capaci di influenzare la situazione prima in alcune repubbliche dell’URSS, e poi in Russia all’inizio degli anni ’90. Su suggerimento degli USA vennero allora introdotte le più complicate riforme economiche, mentre gli americani riuscivano ad accedere alle informazioni più segrete. Ciubais e Gaidar, che avevano studiato ad Harvard, realizzarono in pieno il “progetto di Harvard” che prevedeva la dissoluzione dell’economia sovietica e più in generale della Russia.
L’epoca eltsiniana si è svolta sotto il segno della completa influenza degli USA sulla Russia: l’epoca del saccheggio del paese da parte degli oligarchi e del FMI, l’epoca dell’amicizia “senza riserve” nei confronti del jazz-man Clinton, e così via. Ed ecco che al potere è poi arrivato Putin. In quel momento in Russia esisteva anche una borghesia nazionale, che non aveva intenzione di dividere con l’Occidente i suoi profitti, che andava sempre più intrecciando i propri destini con le strutture della sicurezza e la burocrazia. Così è nata l’oligarchia dei “siloviki”, che oggi viene rappresentata da “Russia Unitaria”.
Ma questo rafforzamento dell’oligarchia dei “siloviki” naturalmente non significa che è venuta meno l’influenza dell’imperialismo occidentale sulla Russia di oggi. Essa ha solo assunto una forma più mascherata. La politica economica di Kudrin e di Gref, il progetto di adesione della Russia al WTO, le manifestazioni di arrendevolezza nelle relazioni internazionali, in particolare nei confronti della Georgia e dell’Ucraina, tutto ciò testimonia che la borghesia russa è saldamente legata all’imperialismo mondiale e ne rappresenta una parte costitutiva.
Ora mi si può obiettare, con l’affermazione che per lo sviluppo borghese è necessario il liberalismo, che la borghesia non può unirsi alla burocrazia. Non è assolutamente vero. Mikhail Khodorkovskij, uno dei più ricchi oligarchi degli anni ’90, nel suo articolo “La crisi del liberalismo in Russia” ha scritto: “L’ideologia del business è fare soldi. E per i soldi un ambiente liberale non rappresenta certo una necessità… La società civile è di ostacolo al business piuttosto che di aiuto. Perché essa sostiene i diritti dei lavoratori dipendenti, difendendoli da un’ingerenza priva di cerimonie sull’insieme dell’ambiente circostante, sostiene la trasparenza dei progetti economici, limita la corruzione. E tutto ciò riduce i profitti. E’ più facile vedere un imprenditore – dico ciò come ex dirigente di una delle più potenti compagnie petrolifere della Russia – mettersi d’accordo con avidi burocrati, piuttosto che concordare le sue azioni con una rete articolata ed efficiente di istituzioni sociali. Il business non esige riforme liberali nella sfera politica, non nutre ossessioni per la libertà: esso coesiste sempre con il regime esistente. E vuole, prima di tutto, che il regime lo difenda dalla società civile e dai lavoratori dipendenti”.
In queste parole, al di là di tutti gli accenni della propaganda liberale alla “società civile”, ecc., emerge la verità che il business, venendo a patti con lo stato, lo utilizza nella lotta con il proletariato, la classe dei lavoratori dipendenti.
Per abbattere l’edificio del socialismo sovietico non bastava la “perestrojka”. Occorreva un distruttore, capace di creare l’atmosfera necessaria a demolire una costruzione di quella consistenza, a disfare la proprietà di tutto il popolo. E lo si è trovato. Eltsin.
Ma è assurdo pensare che il capitale, sempre e ovunque, abbia bisogno del caos, che voglia semplicemente mandare in rovina tutto e tutti. No, conquistate le leve di comando, il business ha voluto l’ordine e una mano forte. Da quel momento la parola d’ordine preferita della borghesia non è stata più “libertà”, ma “stabilità”.
Però la stabilità e la formazione di rapporti borghesi più o meno normali in Russia non sono vantaggiose per i signori di oltreoceano, poiché significherebbero l’apparizione nel mercato mondiale di un concorrente sgradito. Per questa ragione, gli imperialisti americani vogliono nuovamente seminare in Russia il clima di caos dei primi anni ’90. Per questo è necessaria una rivoluzione “colorata”, e prepararla e attuarla è possibile solo con la corruzione di determinate forze politiche, realizzabile mediante le “organizzazioni sociali indipendenti”.
Negli esempi della Georgia, dell’Ucraina e della Kirghizia, le autorità russe hanno potuto vedere cosa accade quando la situazione sfugge di mano. In questi paesi le organizzazioni commerciali non governative sono diventate gli strumenti di pressione che hanno permesso agli USA di insediare nuovamente regimi “liberali” al posto di quelli dei “siloviki”, che depredino il popolo non a proprio profitto ma a profitto degli USA, poiché fino al momento delle rivoluzioni “colorate” i regimi liberali dei primi anni ’90 erano riusciti a trasformarsi da “filo-americani” in regimi “dei siloviki” (sebbene ciò non significhi in alcun modo che abbiano fatto qualcosa per il popolo, esattamente come i poteri russi; semplicemente ad una borghesia, che consegnava metà del profitto al dipartimento di Stato USA, era subentrata una borghesia, che aveva cominciato ad accumulare per sé la gran parte degli utili).
La legge sulle organizzazioni non commerciali è solo la reazione della borghesia dei “siloviki” alla minaccia della realizzazione di una rivoluzione “colorata” in Russia nel 2008.
Il sottosegretario di Stato USA Burns ha detto che la Casa Bianca non tacerà più. E va bene, non tacciano. Ma per favore raccontino anche come hanno depredato i lavoratori russi nel corso di 15 anni, come hanno preso in giro i paesi dell’ex URSS e del campo socialista.
Come devono rapportarsi i comunisti con la legge sulle organizzazioni non commerciali? Per rispondere a questa domanda noi dobbiamo prima rispondere alla domanda su come ci dobbiamo rapportare con le rivoluzioni “colorate”. Alcuni compagni “di sinistra” sostengono che non si tratta di rivoluzioni “colorate”, che le rivoluzioni in Georgia, Ucraina e Kirghizia sono state realizzate dal popolo, e così via dicendo. Non è vero. Così ragionano tanto coloro che non hanno compreso l’effettivo contenuto di tali rivoluzioni, quanto gli agenti dell’Occidente. Tutte le rivoluzioni “colorate” rappresentano una forma di violenza sul popolo, compiuta nell’interesse delle corporazioni transnazionali e dei gruppi finanziari e industriali. Esse sono esclusivamente funzionali al saccheggio imperialista, all’umiliazione, all’asservimento dei lavoratori. E’ una ripetizione degli scenari dei primi anni ’90. Se allora le “rivoluzioni” furono dirette contro il socialismo, oggi si propongono di aizzare i lavoratori di popoli fratelli l’uno contro l’altro, di propagare il nazionalismo, di sottomettere incondizionatamente all’imperialismo, di esercitare il blocco politico ed economico della Russia, di far avanzare la NATO ad Est. Perciò queste rivoluzioni assumono un carattere reazionario che non ci consente di appoggiarle. Se tra i promotori di queste rivoluzioni ci sono le organizzazioni non commerciali (come dimostra la storia di tutte le rivoluzioni “colorate”), allora l’approvazione della legge che proibisce il finanziamento dell’attività politica dall’estero, se non impedisce l’influenza imperialista, perlomeno la indebolisce. Ciò naturalmente non significa che la borghesia nazionale sia meglio, che depredi e opprima “meno” il proletariato. Ma rovesciare in questo momento storico la borghesia nazionale dei “siloviki”, sempre più invischiata in contraddizioni irrisolvibili, potrebbe risultare molto più semplice che combattere contro la borghesia transnazionale, tenendo anche conto della situazione dell’attuale movimento operaio internazionale e dell’assenza di evidenti presupposti rivoluzionari.
Ora mi si potrebbe naturalmente obiettare che io starei dalla parte degli interessi della borghesia dei “siloviki”. Ma non è così. E’ assolutamente evidente che la trasformazione della rivoluzione “colorata” in rivoluzione socialista non è possibile a causa della estrema debolezza e frammentazione del movimento comunista. Certamente, da un punto di vista puramente teorico, tra la rivoluzione “colorata”, realizzata nell’interesse dell’imperialismo, e la rivoluzione socialista, realizzata nell’interesse del proletariato, non esistono ostacoli insormontabili, non c’è e non può esserci una “muraglia cinese”. La prima potrebbe trasformarsi nella seconda. Ma solo qualora noi disponessimo di un forte partito comunista, incondizionatamente schierato sulle posizioni del marxismo-leninismo, se contassimo su una preparata avanguardia operaia, capace di attrarre verso di sé le masse dei lavoratori. In tal caso, sarebbe possibile sferrare un colpo inaspettato agli “arancioni” e, sull’onda di una sollevazione generale, liquidare non solo la borghesia di prima, ma tutta la borghesia nel suo complesso, liberarsi dal giogo del capitale, realizzare la svolta socialista. Ma con grande rammarico occorre ammettere che da noi il movimento operaio non è assolutamente preparato, che il PCFR è affetto dal revisionismo, mentre gli altri partiti, persino quelli che si collocano saldamente (o comunque più o meno saldamente) sulle posizioni del marxismo sono troppo deboli di fronte ai miliardi di dollari degli “arancioni”, che immancabilmente comperano gli strumenti di informazione di massa, i difensori dei diritti, le organizzazioni giovanili e che in tal modo sull’onda entusiasta della “festa della democrazia” arrivano al potere.
Per questa ragione sostenere la rivoluzione “arancione” in Russia significa aiutare la borghesia transnazionale nel suo tentativo di soggiogare definitivamente la Russia, trasformandola in mera fornitrice di materie prime per l’Occidente.
Perciò la posizione dei marxisti-leninisti di fronte alla minaccia dell’arrivo al potere nelle prossime elezioni presidenziali di un candidato filo-occidentale deve essere questa. Noi dovremo agire non “per” la creatura della borghesia dei “siloviki” (non importa se Gryzlov, Medvedev, Mironov, ecc.), ma “contro” il candidato fascistizzante, marionetta dell’imperialismo occidentale, in primo luogo di quello americano, di quel capitalismo, che i suoi emissari attualmente cercano di far trionfare in Russia.
Alcuni diranno che non è questa oggi la contraddizione principale. Non è affatto così. Una buona analogia potrebbe essere ricavata dalla nostra storia. Ad esempio, quando il generale Kornilov nell’agosto 1917 fece marciare i soldati dal fronte verso Pietrogrado, i bolscevichi invitarono gli operai a intervenire contro l’armata di Kornilov, senza per questo schierarsi dalla parte del governo Kerenskij, che a quel tempo sedeva al Palazzo d’Inverno. Si presentava un compito preciso: per salvare la rivoluzione bisognava fermare la dittatura di Kornilov. Con il governo di Kerenskij gli operai sotto la direzione dei bolscevichi avrebbero fatto i conti in seguito, nell’ottobre del 1917.
Il nostro compito nella lotta contro la borghesia, sia degli “arancioni” che dei “siloviki”, è quello di preparare gli operai, far crescere la coscienza socialista tra le masse dei lavoratori. Smascherare tanto la borghesia “arancione” quanto la borghesia nazionale dei “siloviki”.
La fuoruscita dalla crisi, la salvezza dell’umanità dall’asservimento agli imperialisti è possibile solo con il socialismo, con la rifondazione rivoluzionaria dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Lo slogan marxista “Proletari di tutti i paesi, unitevi!” è più attuale che mai.