CONDOLEEZZA Rice in persona ordinò ai servizi segreti di spiare il consiglio di sicurezza dell’Onu mentre gli Stati Uniti si preparavano a invadere l’Iraq. La rivelazione solleva nuovi dubbi sulla sincerità del presidente George Bush. Per giustificare l’intercetta-
zione delle telefonate di cittadini americani il presidente ha sostenuto che si tratta di uno strumento necessario per la lotta al terrorismo. Invece diventa sempre più evidente l’uso dello spionaggio per fini politici e non di sicurezza.
Raw News, un notiziario internet che spesso ha notizie di prima mano, cita due ex funzionari della National Security Agency (Nsa) che ebbero una parte nell’operazione all’Onu nel 2003. Condi Rice era allora consigliera per la sicurezza nazionale e trasmise alla Nsa le istruzioni di Bush, che voleva sapere come avrebbero votato gli ambasciatori dei Paesi del Consiglio di sicurezza. Stati Uniti e Gran Bretagna si preparavano a chiedere via libera all’Onu per l’uso della forza in Iraq e il presidente americano non voleva lasciare nulla al caso.
Una portavoce della Casa Bianca non ha smentito la notizia. Ha citato la risposta di un predecessore, Ari Fleischer, data il 3 marzo 2003 quando venne sollevata per la prima volta la questione dello spionaggio all’Onu. «Il governo americano – affermò Fleischer – si astiene da dichiarazioni sull’operato dei servizi segreti: dunque non rispondo ne sì ne no».
Secondo le fonti di Raw News, nel dicembre 2002 alla Casa Bianca venne discussa l’opportunità di mettere sotto controllo i telefoni di casa e la posta elettronica privata degli ambasciatori all’Onu. Alla riunione parteciparono la consigliera per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice e il ministro della Difesa Donald Rumsfeld. Alcuni funzionari fecero presente che se le intercettazioni fossero state scoperte gli Stati Uniti sarebbero stati svergognati nel Consiglio di sicurezza. L’indicazione del presidente tuttavia era chiara: spiare gli ambasciatori e servirsi di tutte le informazioni utili per fare pressione sui governi che resistevano alle richieste degli Stati Uniti.
La convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche stabilisce: «Le comunicazioni ufficiali delle missioni diplomatiche sono inviolabili». Tuttavia non è un mistero che la Nsa intercetta telefonate e messaggi di molti ambasciatori, compresi quelli dei Paesi alleati. È autorizzata a farlo dal Foreign Intelligence Services Act, la legge americana che stabilisce i limiti dello spionaggio. L’amministrazione Bush decise di spiare i diplomatici anche in privato.
Nel libro «Piano di attacco» Bob Woodward, il giornalista investigativo che fece scoppiare lo scandalo Watergate, ha rivelato che la Nsa spiava Hans Blix, capo degli ispettori dell’Onu in Iraq. Alla vigilia della guerra l’Observer di Londra ottenne copia di una e mail in cui Frank Koza, un dirigente della Nsa, ordinava di spiare il consiglio di sicurezza «allo scopo di aiutare i politici americani a ottenere risultati favorevoli agli Stati Uniti riguardo all’Iraq». In particolare le intercettazioni dovevano servire a «un nuovo sforzo contro Angola, Cile, Bulgaria e Guinea, e a una attenzione rinnovata verso il Pakistan». I Paesi presi di mira non avevano ancora accolto le richieste degli americani al Consiglio di sicurezza.
La traduttrice britannica che aveva informato l’Observer, Katharine Tersea Gun, venne arrestata nel novembre 2003 per divulgazione di segreti di Stato. La stampa americana ignorò la rivelazione. Il Washington Post pubblicò 40 righe con il titolo: «Le notizie sulle spie non turbano l’Onu». Era noto che la Nsa aveva orecchie dappertutto, ma adesso si capisce meglio l’uso che ne hanno fatto i neoconservatori al governo.