C’era una volta il disarmo. Se il presidente George W.Bush segue, domani 25 maggio (quando è atteso il suo discorso), le premesse già annunciate e il canovaccio del suo segretario alla Difesa Rumsfeld, vorrà dire davvero che l’America ha deciso di fissare nuove regole in tema di armamenti. Da sola. Non è solo faccenda riguardante la cosiddetta Ndm (Difesa nazionale missilistica). Il problema ha ormai contorni molto più vasti. Ma, per intanto, il primo sunto provvisorio è questo: è finita l’epoca dei negoziati. Che fu l’impalcatura su cui si resse la guerra fredda, ma che fu anche il modo con cui si riusci’ a ridurre, e significativamente, gli arsenali militari.
Si negoziava perché c’era con chi negoziare. Fu così che arrivò il trattato Anti-Missile Balistico (Abm) del 1972, tra Urss e Usa. Così nacquero lo Start-1 e lo Start-2, sulla limitazione delle armi nucleari strategiche; così videro la luce i trattati europei tra Nato e Patto di Varsavia sulla riduzione delle forze convenzionali. E molto altro.
Ora a Washington si ragiona altrimenti. La Russia – pensano – è fuori gioco. Il Kursk affondato vale – per suffragare questa idea – quanto l’incendio della Torre di Ostankino, o quello più recente, avvenuto nei pressi di Kaluga, in cui la Russia ha visto bruciare in poche ore i sistemi di controllo dei pochi satelliti russi che ancora resistono in orbita. Trattare con la Russia in queste condizioni? Pare che Rumsfeld e Condoleeza Rice ritengano che non sia nemmeno il caso di pensarci. Al più si esamina la questione sotto il profilo delle buone maniere. Cioè facendo quello che gli pare, ma senza offendere il galateo. E già guardano alla Cina che gli si ergerà di fronte tra una quindicina d’anni.
Ma con quella Cina si comincerà a trattare, eventualmente, appunto tra una quindicina d’anni. Nel frattempo bisogna mettere tra essa e l’America quanta più superiorità americana è possibile. Con la Russia, sempre nel frattempo, ci si muoverà – scrive Jim Hoagland sul Washington Post – “per cercare accordi informali sui modi per uscire dalle idee e dai rapporti nucleari della guerra fredda.
Lasciamo da parte, per un momento, quello che ne pensa Vladimir Putin. Importante è sapere che le nuove coordinate di pensiero che vengono maturando all’interno della sessantina di think-tank strategici washingtoniani indicano l’esigenza di “uscire dalle idee della guerra fredda da una porta diversa da quella che aprirebbe un nuovo negoziato. La porta che si sceglie è quella della ricerca di una superiorità militare dell’America. Per questo, appunto, non c’è bisogno di alcun negoziato. Negoziare una superiorità indiscutibile è un ossimoro. Recentemente un alto funzionario del Pentagono, rimasto anonimo ma “vicino a Mr.Rumsfeld”, ha detto al New York Times proprio questo: “Probabilmente non ci faremo più impacciare da accordi sul controllo degli armamenti”.
In questo nuovo contesto ideologico i problemi della sicurezza presente e futura degli Stati Uniti vengono esaminati sotto punti di vista inediti cui molti – ad esempio l’Europa – non sembrano ancora preparati a confrontarsi. E non è bene, anche perché l’Europa è e rimane l’alleato principale dell’America e rischia, non capendo ciò che accade, di non sapere più di chi e per che cosa sarà alleata nel sempre più imprevedibile futuro.
Non tutti, per esempio, si sono ancora resi conto della radicale differenza che c’è tra la Sdi (Strategic Defence Iniziative) di Ronald Reagan e la Ndm di Bush (e di Clinton). Non è che questa seconda sia una versione ridotta della prima. In un certo senso è molto di più. Anche perché le rinomate “guerre stellari reaganiane – per quanto idelogicamente addobbate – si presentavano come un’arma dell’intero Occidente, impegnato a demolire e sconfiggere il comunismo. Questa seconda è faccenda tutta americana. Tanto e solo americana che, per renderla digeribile a europei, russi e asiatici importanti come Cina, Giappone e Corea del Sud, è stato necessario (e non è bastato) inventare gli “stati canaglia”.
In realtà la Ndm è molto più importante di un semplice ombrello difensivo e sbagliano coloro che ironizzano scetticamente sulle sue possibilità di divenire operativa, né domani, né mai. Anche perché essa viene riproposta come parte integrante di una rioganizzazione complessiva della presenza americana nello spazio il cui obiettivo dichiarato è di trasformare per la prima volta lo spazio in zona di operazioni belliche attive. E’ cioè possibile che il nuovo ombrello missilistico non funzioni come tale, ma esso diventerebbe un tassello possente nel quadro del già esistente, gigantesco sistema americano di sorveglianza e monitoraggio ottico ed elettronico. Non più solo difesa passiva, volta a monitorare i potenziali attacchi altrui, ma una nuova arma capace di minacciare tutti i sorvegliati, dovunque si trovino e quali che siano le loro capacità belliche. Investimenti addizionali delle dimensioni di un centinaio di miliardi di dollari sono suscettibili di dare vita a nuovi sistemi d’arma, a progetti rimasti per ora solo allo stadio preliminare. Si delinea con grande realismo una interazione tra armi terrestri, controllate dai satelliti, che permetterebbero agli Stati Uniti di mantenere un controllo planetario addirittura riducendo le basi all’estero e i pericoli – destinati a crescere con lo sviluppo della globalizzazione – del personale americano.
Un sistema che William Pfaff ha definito, sul Los Angeles Times, una specie di mix tra difesa e offesa, come un apparato di “sorveglianza universale e di interventi antisettici, con armi che agiscono da sole, senza l’intervento dell’uomo”. Uno strumento per guerre sempre più “celesti”, dove moriranno solo i cattivi. Armageddon. Hollywood sembra entrata al Pentagono. O il Pentagono è diventato Hollywood. Molto più che ai tempi di Reagan. Alla politica spettacolo fa seguito la guerra spettacolo. C’era un antico romanzo di fantascienza dove due civiltà, su un pianeta che assomigliava molto alla Terra, si combattevano proprio in questo modo. Poi Schwarzenegger ne tirò fuori la serie dei Terminator….