Retribuzioni a perdere

E’ una corsa a perdere quella delle retribuzioni contrattuali contro l’inflazione: appena lo 0,1% l’incremento in marzo sia di quelle orarie che di quelle per dipendente. Rispetto al marzo del 2000, invece, l’incremento è del 2%, un punto in meno rispetto al costo della vita. Alla base della progressiva perdita di potere d’acquisto dei salari il ritardo nella firma dei rinnovi contrattuali.
Come spiega l’Istat, infatti, “l’aumento congiunturale di marzo – lo 0,1% – deriva dall’applicazione di talune indennità, ma soprattutto dall’antrata in vigore di alcuni accordi”. A fine marzo, però, sottolinea l’Istat “risultavano in attesa di rinnovo 30 accordi collettivi nazionali, i quali rappresentavano, in termini di monte retributivo contrattuale, il 55,9% di quelli osservati e si riferivano a circa 6,5 milioni di lavoratori dipendenti”. In altre parole, alla fine di marzo i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore, per le parti che regolano il trattamento economico, riguardavano 4,9 milioni di lavoratori, ovvero solo il 44,1% dei contratti osservati.
Cesare Salvi ha preso lo spunto dai dati Istat per spiegare che la ragione della convocazione delle parti sociali a palazzo Chigi sta proprio nei dati sull’inflazione e sulle retribuzioni contrattuali. Per il ministro del lavoro il rinnovo dei contratti si rende necessario “per evitare la spirale di compressione dei salari, la riduzione dei consumi, la caduta della produzione”. Il tutto si tradurrebbe in una minore spinta alla nuova occupazione, tradendo “la spirito e la lettera dell’accordo del luglio ’93”.
Sempre utilizzando i dati Istat, Salvi ha anche sottolineato che se non dovessero essere rinnovati i contratti di lavoro già scaduti “a fine settembre la variazione tendenziale media delle retribuzioni risulterebbe pari ad appena l’1,3%”. E questo di fronte a una inflazione tendenziale che a fine aprile era oltre il 3%.. Per dirla con le parole del ministro del lavoro “una differenza davvero notevole”. Anche perchè, come ha ricordato Salvi, nel 2000 a fronte di un aumento medio delle retribuzioni dell’1,9%, si è contrapposta una inflazione del 2,6%.
Tra i maggiori contratti in attesa di conclusione. i principali riguardano quello dei metalmeccanici (circa 1,5 milioni di lavoratori) e quello del commercio (1,6 milioni di dipendenti). Ciascuno dei due contratti pesa per circa il 12% del monte retributivo complessivo.I dati dell’Istat, in ogni caso, evidenziano che anche nei settori interessati da recenti rinnovi, le retribuzioni tengono a fatica il passo con il costo della vita. Anzi, è solo un settore, quello delle attività connesse ai trasporti, a evdenziare un incremento tendenziale (il 6,1%) superiore a quello dei prezzi al consumo. In linea con l’incremento dei prezzi è l’aumento dei salari nel settore “tessile, abbigliamento e lavorazione pelli”. Peggio di tutti stanno i lavoratori dell’agricoltura con un incremento annuale dei salari dell0 0,2%, i dipendenti delle poste e telecomunicazioni (0,8%) e quelli del chimico-petrolifero (0,9%).
Il mancato aumento delle retribuzioni è accompagnato da un crollo delle ore perse “per conflitti di lavoro”: nel primo trimestre, secondo i dati Istat, le ore non lavorate sono state 600 mila, 36 milioni di minuti. Rispetto allo stesso periodo del 2000 c’è stata una riduzione del 53,7%. In pratica ogni dipendente ha “conflitto” nei primi tre mesi del 2001 per poco più di 3 minuti. E’ la pace sociale. E i risultati si vedono.