«Restiamo a Kabul ma rivedere la strategia»

Restare in Afghanistan «impostando la presenza con un forte contenuto politico e una riflessione sulla strategia di lungo periodo». Da Abu Dhabi dove si trova in visita ufficiale e dove ha accolto i tre militari feriti nell’attentato di due giorni fa, il presidente del Consiglio Romano Prodi interviene per ribadire che «la natura della nostra missione non cambia», anche se riconosce la necessità di affrontare i problemi legati alla permanenza in quel Paese.
Il dibattito rischia di accendersi nuovamente ora che l’Italia assumerà il comando Isaf della regione di Kabul. Perché l’impegno prevede il potenziamento dei reparti con l’invio di altri 250 soldati. Gli alpini della Taurinense e il secondo reggimento Cuneo dovranno essere a disposizione dal 6 dicembre, quando è previsto il cambio al vertice della Coalizione.
Un ruolo di primo piano che, avverte l’intelligence, fa aumentare il rischio di nuovi attentati. Perché l’obiettivo dei talebani e di altri gruppi terroristici è quello di imporre ai governi occidentali il ritiro delle truppe, ma soprattutto di rompere il fronte comune che si sta creando tra i militari e la popolazione locale. Gli attacchi contro i convogli continuano, però nell’ultimo periodo ci sono state numerose azioni — sempre più spesso opera di kamikaze — in luoghi affollati, preferibilmente nel corso di cerimonie dove i soldati hanno il compito di garantire la «cornice di sicurezza». Proprio come è avvenuto sabato, durante l’inaugurazione del ponte di Paghman, quando un uomo si è fatto esplodere e ha ucciso il maresciallo dell’Esercito Daniele Paladini.
Una strategia che, afferma Prodi, «non è un’offensiva contro gli italiani, ma contro tutti e in particolare contro il popolo afghano: obiettivo del terrorismo è creare instabilità nel Paese, anche introducendo nuovi metodi terroristici come gli attacchi suicidi che in Afghanistan a differenza che in Iraq erano estranei alla cultura di quel Paese».
Il presidente della Camera Fausto Bertinotti aveva sollecitato «una riflessione sulla missione», e gli esponenti della sinistra radicale chiedono di riaprire il dibattito. Secondo il verde Paolo Cento «il ritiro non può continuare ad essere un tabù» e il coordinatore dei Comunisti Italiani Marco Rizzo sollecita «una svolta del governo su questo tema».
A loro Prodi risponde così: «Noi restiamo, ma tutti i Paesi che restano hanno bisogno di riflettere sulla strategia di lungo periodo. Non è un problema di ieri ma un problema su cui stiamo ragionando già da molto tempo. Comunque la nostra solidarietà alla missione è fuori discussione. Non c’è nessun piano preciso o conferenza in vista, ma la necessità di progredire verso una comune politica per trovare una soluzione a questi problemi sempre più gravi».
A gennaio il Parlamento dovrà votare nuovamente il rifinanziamento e il governo si troverà a fare i conti con i numeri risicati del Senato. Lorenzo Cesa dell’Udc già assicura: «Daremo l’assenso per sostenere i nostri militari».