“Resta il no del Prc ma l’accordo si troverà”

Segretario Giordano, tutte le previsioni della vigilia danno una larga affermazione del sì al referendum.
«Non faccio alcun pronostico, ho troppo rispetto per la forma partecipativa che è stata scelta, un esempio straordinario di democrazia diretta. Mi piacerebbe che fosse introdotto anche per i contratti di lavoro; Servirebbe una legge sulla rappresentanza sindacale, per evitare che la democrazia si fermi sull’uscio delle fabbriche».

Ma sei lavoratori approvano il protocollo, come farà Rifondazione ad andare avanti nella battaglia per cambiarlo?
«È evidente che il risultato va interpretato. Va ascoltato il malessere che sale dalle grandi fabbriche, dal pubblico impiego, da tutta la grande area del lavoro dipendente. C’è l’autonomia del sindacato, ma c’è anche l’autonomia politica, la possibilità di migliorare l’accordo in Parlamento».

I sindacati però si ritroverebbero di fronte un testo diverso da quello sottoscritto con il governo.
«Ecco il punto. Io credo che si tratti di miglioramenti condivisibili. E mi pare che si stia delineando proprio questa ipotesi. Penso che ci siano le condizioni per un’intesa, soprattutto sul tema della precarietà».

Le pare possibile nella riunione del Consiglio dei ministri del 12 ottobre?
«Se il governo non arriva con delle modifiche, non saremo in grado di garantire un voto positivo».

Diranno no tutti e quattro i ministri della Cosa rossa?
«Io parlo da segretario di Rifondazione comunista».

Una bella botta comunque per Prodi. E le conseguenze sul governo?
«Non cerchiamo e non vogliamo la rottura. Se non ce la facciamo in Consiglio dei ministri, le modifiche possiamo farle in Parlamento».

Dini, i socialisti, Mastella hanno già messo in guardia: se la sinistra presenta emendamenti, lo facciamo anche noi. Una guerra
che in Senato può inguaiare Prodi.
«Non possiamo tacere perché qualcuno pensa di usare strumentalmente il confronto. Sarebbe meglio, certo, un’intesa preventiva. Ma, se così non sarà, l’intransigenza non è venuta da noi».

E da chi?
«Dalla Confindustria per esempio che, dopo aver incassato una montagna di aiuti, si muove ormai con un esagerato ruolo di soggetto politico. Spero che non sia Montezemolo a dettare al governo la riforma elettorale. La partita si gioca proprio adesso».

Quale partita?
«Per ridimensionare il ruolo di Confindustria. Sulla riduzione delle tasse, come dice anche il sindacato, non dobbiamo intervenire sulle imprese ma sul lavoro dipendente. Attraverso il recupero del fiscal drag o anche la detassazione degli aumenti contrattuali».

Una novità, quest’ultima richiesta, per il Prc.
«Sarebbe una spinta alla chiusura dei contratti, oltre a garantire aumenti contrattuali più alti».