“Resisteremo. Con qualsiasi mezzo”

Un altro assassinio mirato da parte delle forze israeliane ha avuto come bersaglio, ieri, Ahmed Khalil Esaa Ismail, 35 anni, militante della Jihad e crivellato con più di venti proiettili vicino a Gerusalemme. Ieri è morto anche, a Gaza, Obeed Abu Areeban, ferito dagli israeliani il mese scorso. Intanto Arafat è tornato da Sharm el-Sheik dove ha incontrato il presidente egiziano Mubarak per discutere della bozza del rapporto della commissione guidata dall’ex senatore Usa George Mitchell, fatta pervenire alle parti interessate che devono presentare i loro rilievi prima della stesura finale. Ma già è trapelato che la commissione, messa in piedi dall’amministrazione Clinton nell’ottobre scorso, poco dopo lo scoppio della seconda Intifada, chiede agli israeliani di bloccare l’espansione delle colonie nei territori occupati ma dice no alla richiesta palestinese per l’invio di una forza internazionale di interposizione. Arafat, che ne ha parlato anche con il re di Giordania Abdallah e ha convocato il gabinetto palestinese per ieri sera a Gaza con il rapporto Mitchell all’ordine del giorno, propone la riconvocazione di un summit internazionale – cui dovrebbero partecipare il presidente Bush americano (figurarsi…), lui, Mubarak e Abdallah, gli israeliani e l’europeo Solana.

Abu Baker Qassem – il nome è vero solo in parte – ci accoglie in un’aula di un asilo abbandonato nel centro di Rafah diventato la sede (non ufficiale) del locale Comitato di resistenza popolare (Crp), l’organizzazione palestinese di base che guida di fatto l’Intifada e riunisce esponenti di tutte le forze politiche. “Qui dentro non si fa differenza tra i gruppi politici, tra i vari colori e simboli – ci dice Qassem, docente di una università che preferisce non precisare e, da alcuni mesi, leader del Crp nel distretto di Rafah -, l’unica bandiera che conta è quella della resistenza, della lotta all’occupazione israeliana. Il resto è insignificante”.
Due giovani, Nabil e Kamel, armati di kalashnikov, ascoltano le sue parole. Di tanto in tanto controllano che tutto sia tranquillo intorno all’edificio. La possibilità di un improvviso attacco mirato israeliano è alta e ora quelli del Crp hanno cominciato a temere anche i servizi di sicurezza dell’Anp che guardano con sospetto alle attività di questa organizzazione popolare. Tutto è calmo, il colloquio può avere inizio.

Nei giorni scorsi il Consiglio palestinese per la sicurezza nazionale, presieduto dal presidente Arafat, ha dichiarato illegali i Comitati di resistenza popolare a causa delle loro attività armate contro le postazioni e le colonie israeliane. Come avete reagito a questa decisione?

Non abbiamo reagito. Per due motivi. Il primo è che sino ad oggi non abbiamo ricevuto alcun documento ufficiale dall’Anp o dall’Olp. Il secondo è legato alla nostra posizione che è chiara da tempo a tutti. I Crp sono espressione della volontà popolare, dei desideri di tutto il nostro popolo che è stanco dell’occupazione e vuole essere libero. La nostra organizzazione pertanto non ha alcuna intenzione di farsi da parte e continuerà a resistere fino a quando gli israeliani non libereranno la nostra terra ritirando i loro soldati e i loro coloni. Noi vogliamo difendere e proteggere tutti i palestinesi dall’occupazione, anche l’Anp e i suoi leader, e non riusciamo proprio a capire perché i Crp dovrebbero sciogliersi mentre non cessa l’aggressione israeliana. I Crp non sono alternativi ai partiti, ai movimenti già esistenti, all’Anp o all’Olp, ma vogliono soltanto rappresentare la voce del popolo.

Come sono nati i Crp?

L’organizzazione di base è sempre stata una esigenza del nostro popolo, soprattutto dove l’occupazione si fa sentire con più durezza, come qui a Rafah. Da mesi siamo sottoposti a massicci bombardamenti e ad attacchi e a demolizioni di case. Di fronte a tutto ciò non esistono di più differenze politiche, le sigle – Al-Fatah, Hamas, Jihad, Fronte popolare – valgono poco. L’unico obiettivo al quale i palestinesi devono mirare in questa situazione è quello di cacciare via l’occupante e organizzare le strutture di soccorso ai tanti che hanno avuto la casa distrutta, a chi soffre la fame, a chi non ha soldi per curare i figli ammalati o feriti. Per questo accanto alla struttura militare i Crp hanno rafforzato il programma di assistenza sociale che è finanziato dalla gente, con piccole donazioni, e non dalle forze politiche. Sono più di venti i Crp sorti a Gaza e in Cisgiordania, molto presto saranno il doppio.

Qual è la strada che i Crp ritengono più adatta per conseguire la fine dell’occupazione?

Tutte. Aiutando la nostra gente ad affrontare la realtà sul terreno e attuando varie forme di resistenza, anche armate. Certo anche con i colpi di mortaio contro le forze di occupazione che,ho letto sui giornali, tanto preoccupano voi europei e americani. Non riesco proprio a capire questo atteggiamento. Abbiamo il diritto di difenderci dall’offensiva israeliana contro le nostre città proprio come, ad esempio, avete fatto voi italiani durante la lotta al fascismo e ai nazisti che occupavano la vostra terra. Non erano forse legittimi tutti i mezzi che usavate contro gli occupanti? E allora perché si parla tanto delle azioni dei palestinesi? Io non sono un capo militare ma possono garantirvi che sino a quando i bulldozer ci demoliranno le case e i carri armati israeliani spareranno sulla nostra gente, i Crp continueranno a resistere in ogni modo e nessuno potrà arrestare la nostra lotta. Abbiamo detto basta, ora dobbiamo liberarci dell’occupazione in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est.

La vostra linea però poco si concilia con le mosse dell’Anp che appare impegnata in contatti con il governo israeliano. Cosa pensate dei colloqui in corso e della cooperazione tra i servizi di sicurezza israeliani e palestinesi sulla quale insistono tanto gli Stati Uniti?

Ma cosa sperano di ottenere i nostri leader da questi contatti con Israele ? E’ fin troppo evidente che non ci porteranno nulla di buono perché le basi di questo dialogo sono completamente sbagliate. Israele vuole soltanto mettere fine all’Intifada e ritornare alle stupide trattative di Oslo che dopo sette anni hanno portato solo fame e distruzioni e rafforzato l’occupazione militare. Il negoziato è possibile ma solo dopo il ritiro totale di Israele dai territori occupati. Sino a quando gli occupanti saranno nella nostra terra la resistenza andrà avanti. La cooperazione tra i servizi di sicurezza? E’ solo un piano per colpire l’Intifada. Quando gli israeliani ci consegneranno la loro lista di massacratori e criminali di guerra come Ariel Sharon e Shimon Peres responsabile del massacro del ’96 a Qana, in Libano, allora anche noi palestinesi consegneremo il nostro elenco di persone pericolose. E’ questa la vera cooperazione di sicurezza, non quella che impone ai palestinesi di arrestare i loro fratelli in lotta mentre i criminali israeliani vanno in giro liberi. I nostri leader faranno bene a non lasciarsi ingannare ancora una volta da Israele. L’unico modo per ottenere la liberta è con la resistenza, in tutti i modi, alle forze di occupazione.