Ogni giorno ha la sua croce. Specie per una «finanziaria senz’anima» come questa. Così, nel giorno in cui i capigruppi del Senato si accordavano per approvare il decreto fiscale entro giovedì e discutere l’intera legge tra il 12 e il 21 dicembre, si è venuto a scoprire che la «copertura» (ossia la «voce di bilancio» concreta da cui si traggono o no delle risorse) attribuita all’adeguamento della tassazione sulle rendite finanziarie è saltata.
Per capirci. Attualmente l’aliquota minima sul lavoro dipendente è al 23%, mentre quella sulle rendite (bot, cct o titioli azionari) sta al 12,5%. Il governo aveva scatenato le ire dei rentier e dei loro difensoti parlamentari promettendo di elevare la tassazione al 20% (come nella media europea, peraltro; niente di «rivoluzionario»). E per dimostrare la propria ferrea volontà aveva anche iscritto a bilancio, come «copertura finanziaria», i proventi che ci si attendeva da questo adeguamento.
E invece è sparita. La spiegazione immediatamente offerta dal governo, per bocca del sottosegretario all’economia Nicola Sartor, è abbastanza semplice. «Sono migliorati i saldi correnti dei conti pubblici», grazie alle entrate fiscali superiori al previsto; e quindi sono state corrette le tabelle relative alle «coperture», cancellando quel miliardo di euro da «estrarre» dalle rendite. Ma questo non starebbe a significare un «cedimento» verso i rentiers, perché il capitolo relativo alla tassazione sulle rendite non era contenuta nella finanziaria, bensì in un «collegato». Documento che verrà presentato alla discussione – assicura Sartor – e approvato entro luglio (prima cioè del prossimo Dpef).
In pratica, la cancellazione comporta un «buco» figurativo di 644 milioni rispetto alle previsioni, compensato però dall’«utilizzo del miglioramento del risparmio pubblico», che tiene conto del diverso stato dei saldi di parte corrente (5.875 milioni, all’inizio dell’iter parlamentare; 7.277 ora). Tutto come prima? C’è solo da sperarlo, e da tenere gli occhi bene aperti. Non sarebbe del resto al prima volta che una misura «buona» (come potrebbe essere la decurtazione delle rendite finanziarie, compresa quella sugli affitti immobiliari) scompare all’atto delle formalizzazione dopo che ne era stato dato fragoso annuncio e erabno state incassate le relative proteste dei «ricchi».
Dal mondo del lavoro, intanto, salgono le proteste dei «poveri cristi». Nella sola giornata di ieri hanno proclamato uno sciopero generale i vigili del fuoco e, per la scuola, gli autonomi (ma anche confederali e Cobas annunciano «mobilitazioni»). I primi – dietro l’indicazione di Cgil, Cisl e Uil – prendono atto che il governo «non solo non ha ritenuto di potenziare il Corpo nazionale», già in cattive acque di suo, ma impone «un intollerabile arretramento, tale da mettere a rischio perfino l’attività di soccorso dei cittadini». Basti pensare che anche in questo settore delicatissimo (dove serve competenza, esperienza, «fisico allenato»), c’è una sovrabbondanza di lavoratori precari. Il 6 dicembre, perciò, stop nazionale con ovvia garanzia dei «servizi minimi».
La scuola è forse tra i comparti del pubblico impiego più penalizzati dalle scelte di politica economica. E tra i più pronti a scendere in piazza per protestare. Prova a prendere la palla al balzo lo Snals, storico sindacato «autonomo» di ascendenza democristiana, che indice uno sciopero generale per il 7 dicembre. Tutte da chiarire, per il momento, le modalità con cui si terranno le «mobilitazioni» evocate dai sindacati confederali. Ancora ieri il cislino Francesco Scrima confermava però la «necessità di una grande manifestazione nazionale unitaria di tutto il personale docente e Ata».
Sembra invece appagato, pur con qualche riserva, il ministro dell’università e della ricerca Fabio Mussi. Il quale rivela di esser stato «costretto a puntare i piedi» pur di ottenere 230 milioni «nuovi» per azzerare i «sacrifici» inscritti del Dpef di luglio. Non sembra, però, che il suo punto di vista corrisponda in pieno con quello del mondo universitario e scientifico, tuttora fortemente «perplesso» – per usare un eufemismo – sull’operato del governo.