GIANNI RINALDINI
RELAZIONE
Vista anche la rilevanza e l’importanza di questo Comitato Centrale, leggo la relazione che successivamente verrà distribuita ai compagni.
Compagni e compagne, con questo Comitato Centrale siamo tutti chiamati a misurarci con la necessità non solo di decidere le iniziative di mobilitazione delle prossime settimane, ma di assumere orientamenti che ineriscono le scelte che siamo chiamati a compiere, a fronte di un contratto nazionale siglato da Federmeccanica con FIM e UILM.
Questo, peraltro, ci viene chiesto giustamente dai lavoratori e dalle lavoratrici, come abbiamo verificato nel corso di queste settimane di manifestazioni e di scioperi, non tanto delle certezze sui risultati, che pure noi vogliamo conquistare con un nuovo contratto nazionale che escluda, in via prioritaria, il reperimento delle leggi del governo, ma, viceversa, quello che ci viene chiesto è sulla linea che intendiamo perseguire, che non si traduca soltanto in una molteplicità di atti di protesta, ma che ha come obiettivo la totale riconquista del contratto nazionale e, con esso, l’essenza stessa del contratto come risultato di una libera contrattazione.
La riconquista, cioè, di una piena soggettività che, per essere tale, ha bisogno del pieno dispiegamento della democrazia sociale. Essa infatti, la democrazia sociale, non è una democrazia di serie B, bensì parte integrante del patto costituzionale.
La negazione della democrazia sociale non solo mette in discussione il patto democratico, ma annulla di fatto la possibilità che i lavoratori e le lavoratrici siano soggetti consapevoli e responsabili di tutte le scelte che li riguarda; in definitiva, in questo modo il sindacato si riduce ad atto burocratico, perdendo così quell’autonomia che è condizione indispensabile per la sua stessa funzione.
Ma non sarebbe corretto sottacere che sono emerse anche posizioni di parte dell’organizzazione, seppur fortemente minoritarie, che fanno risalire l’esito contrattuale anche alle posizioni sbagliate espresse dalla FIOM nel corso di questi anni.
Un accordo, invece, quello siglato da FIM e UILM, che semplicemente recepisce e fa proprie le posizioni della Federmeccanica, anche rispetto alla loro stessa piattaforma, come ha recentemente commentato, in un articolo su “L’Unità”, Massimo Roccella; un accordo che è possibile riassumere in un concetto fondamentale: il contratto nazionale si trasforma in un atto puramente applicativo delle leggi sul lavoro e la parte retributiva è riferita all’inflazione programmata decisa dal governo.
Questo è il vero significato dell’anticipo del 21 euro, equivalenti all’1,3% sul rinnovo del prossimo biennio, perché si sancisce che per l’attuale biennio 2003-2004 il riferimento è l’inflazione programmata.
Si configura, in questo modo, un’idea precisa del nuovo assetto contrattuale, in previsione del confronto confederale sulla revisione dell’accordo del 23 luglio, previsto per i prossimi mesi e che, pertanto, coinvolge l’insieme del Movimento sindacale.
Del resto, tutto ciò è parte del patto governo-Confindustria di Parma, che ha prodotto il Libro Bianco come programma di legislatura sul lavoro e, successivamente, il patto per l’Italia con l’adesione di CISL e UIL.
L’insieme dei rapporti di lavoro vengono ridefiniti attraverso atti legislativi esplicitamente finalizzati, in nome della flessibilità, alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, dove il ruolo della contrattazione è semplicemente annullato, o meglio, ridotto a pura riserva legislativa, e viene ridisegnato il ruolo e la funzione della rappresentanza sociale, viene negata alla radice l’autonomia contrattuale.
Avevamo detto a suo tempo che questo disegno sociale era in sé profondamente autoritario, che pone alle rappresentanze sociali un’opzione precisa: o si è parte di questo disegno sociale, ed allora c’è spazio attraverso gli Enti bilaterali, altrimenti si è incompatibili, un ostacolo da superare e da sconfiggere.
La trasformazione della rappresentanza sociale da soggetto contrattuale autonomo a Sindacato fondato sui servizi, a partire dal collocamento, esclude la partecipazione, l’espressione della soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici.
Capisco solo in questo modo il fatto che la CISL, tradizionalmente contraria all’intervento legislativo sulle materie del lavoro, oggi sostenga la delega sul lavoro ed esprima, invece, contrarietà ad una legge sulle rappresentanze sindacali.
E’ per questa banale considerazioni che l’esercizio della democrazia, il fatto che i lavoratori e le lavoratrici abbiano il diritto di esprimersi e di votare piattaforme ed accordi non è previsto, viene escluso. Si afferma il riconoscimento reciproco tra le parti sociali, cioè la legittimazione dell’organizzazione sindacale non deriva dai lavoratori, ma dalla controparte, è la logica dell’accordo con “chi ci sta”, quindi del superamento di qualsiasi idea di concertazione che presuppone la definizione di obiettivi e strumenti comuni.
Nella fase iniziale della trattativa avevamo chiesto incontri bilaterali con le forze politiche proprio sul tema della democrazia. Abbiamo avuto pochi riscontri positivi, sostanzialmente da parte di Rifondazione Comunista e della lista Di Pietro.
Siamo in attesa di una risposta alla richiesta di incontro con il Presidente della Repubblica. E’ necessario che come FIOM, assieme alla CGIL, promoviamo un’iniziativa specifica sulla democrazia, sui diritti democratici dei lavoratori.
Come non vedere e non capire che ciò che sta avvenendo sul terreno del lavoro è parte decisiva di una ridefinizione dell’assetto complessivo del Paese, dal punto di vista sociale, culturale, istituzionale, il cui approdo finale sarà la stessa riscrittura della prima parte della Costituzione.
La deregolamentazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro porta in sé la ridefinizione dello stato sociale, dalla previdenza alla sanità, poiché al centro c’è la persona, la società concepita come un insieme di individui liberi che relazionano tra loro sulla base delle leggi del mercato e, quindi, merce tra le merci che, in quanto tali, se ci riescono, si costruiscono le difese assicurative, lo Stato garantisce il minimo caritatevole.
Pare ormai evidente che l’attuale confronto sulle pensioni rappresenta soltanto l’anticipo di una Finanziaria che, così come richiesto dalla Confindustria, interverrà pesantemente sullo stato sociale, lungo la linea tracciata già nel corso di questi anni.
Voglio ricordare a tutti noi che l’accordo sulle pensioni fu oggetto di un referendum e tale percorso va ribadito e riconfermato a tutti i livelli. Tutta la struttura dei diritti sociali è messa in discussione, come testimonia il fatto che il Presidente del Consiglio vuole inserire il valore dell’impresa nella Costituzione al posto del lavoro.
Non a caso, dopo che il Presidente degli Stati Uniti nel famoso Rapporto annuale, quello della guerra preventiva, riferendosi al modello americano come modello universale li ha riassunti in tre valori fondamentali: libertà, democrazia, libertà di impresa.
Potrei continuare sul versante istituzionale della devolution, della magistratura, sul ruolo dei partiti e della politica, ma ciò che mi interessa sottolineare è relativo al fatto che, attraverso le modifiche radicali in atto sul terreno del lavoro, si coniuga e si ridefinisce un assetto sociale complessivo.
Come sempre è avvenuto nella storia sociale e sindacale del nostro Paese, tutto ciò trova nel contratto della nostra categoria, nel bene o nel male, un passaggio decisivo, centrale per la definizione degli assetti contrattuali complessivi, per ciò che rappresentiamo, per ciò che rappresenta il nostro settore nella vita economica del Paese.
L’offensiva finale della Federmeccanica sul contratto nazionale e sulla struttura contrattuale è iniziata con l’accordo separato sul rinnovo del biennio economico, le famose 18.000 lire, la cui efficacia e ricaduta sul piano retributivo la verifichiamo, adesso, nel contratto nazionale.
Questa scelta di ridefinizione delle relazioni sindacali, peraltro, è stata praticata nel corso di questi anni da molte imprese, trovando nella vicenda FIAT il compimento più definito.
L’accordo di programma tra governo e FIAT ha semplicemente annullato la funzione del Sindacato nazionale, senza neanche infingimenti nella forma, poiché è stato chiesto a FIOM, FIM, UILM ed a CGIL, CISL e UIL semplicemente di mettere una firma ad un verbale già scritto e concordato e, contemporaneamente, aprire un confronto a livello nazionale per acquisire la firma della RSU sull’attuazione del piano.
Dico “RSU” perché, non a caso, la FIAT adesso convoca ogni singolo componente delle rappresentanze sindacali per firmare gli accordi, a testimoniare in questo modo la sigla da parte della maggioranza dei rappresentanti sindacali, poiché, come dice una sentenza del Tribunale di Torino in riferimento ad una nostra iniziativa sull’art.28, ciò che conta è la firma della RSU.
E’ questo un modello di relazioni sindacali, di ruolo e funzione della rappresentanza sociale preciso, dove il rapporto con l’iniziativa del governo e della Confindustria è del tutto evidente.
Ma la vicenda FIAT ci consegna, nello stesso tempo ed in modo emblematico, la gravità della crisi che attraversa buona parte dei settori industriali. Non saprei dire se corrispondono al vero le voci che circolano su nuove migliaia di licenziamenti per le prossime settimane, ma non vi è dubbio che il bilancio presentato recentemente sul consuntivo 2002 e primo trimestre 2003 è tale che non è esagerato affermare che siamo di fronte ad una situazione pre-fallimentare, con tutto ciò che ne consegue.
E’ veramente sconcertante che tutto ciò non sia stato oggetto di alcune commento o considerazioni da parte del governo, dei partiti politici, delle autorità preposte a svolgere un ruolo di controllo.
Per quanto ci riguarda, nei prossimi giorni, denunceremo a tutti i soggetti istituzionali e di controllo le nostre valutazioni sulla situazione in essere.
Emerge anche in questo modo dai tanti, troppi silenzi, se non addirittura espliciti consensi, che oggi in realtà non è in campo, ad esclusione dell’iniziativa della CGIL, alcuna reale ipotesi alternativa di politica industriale per il nostro Paese, se non quella relativa alla competitività fondata sui costi, sui diritti e sulla contrattazione.
Il Presidente della Confindustria, D’Amato, nella recente Conferenza annuale, dopo aver incassato il Patto per l’Italia, la delega sul lavoro e richiamato esplicitamente la positività dell’accordo dei meccanici, ha proposto su queste basi la definizione di un nuovo patto per la competitività, suscitando reazioni di interesse da parte di CISL e UIL. Un nuovo patto per la competitività – afferma D’Amato – a partire dalla considerazione che oggi c’è una netta cesura con il mondo fino ad ora conosciuto e che la FIOM e la CGIL appartengono alla storia del passato.
L’accordo siglato da FIM e UILM diventa in questo modo l’accordo dei meccanici; l’intesa sul Patto per l’Italia, siglato da CISL e UIL, diventa l’intesa con il governo e le organizzazioni sindacali.
La costituzione materiale di questo Paese sta già cambiando. Abbiamo bisogno di aggiornare la nostra analisi anche su cosa significa nuova e diversa politica industriale, che impatta inevitabilmente con le questioni relative al ruolo dell’intervento pubblico, alla ricerca, all’innovazione, alla formazione, alle infrastrutture, ad una politica industriale fondata sulla qualità del lavoro, sull’innovazione del prodotto.
Questo a me pare la sfida che abbiamo di fronte, di questa radicalità e di queste dimensioni, di cui la vicenda contrattuale costituisce un passaggio centrale.
Vi era un’alternativa alle scelte che abbiamo compiuto? Qualcuno veramente pensa, seriamente, che il problema sia questa o quella mossa tattica durante la trattativa?
A me pare che l’unica alternativa in campo era quella di sottoscrivere il verbale predisposto dalla Federmeccanica, perché, in realtà, non c’è mai stata trattativa vera, neanche con FIM e UILM che hanno semplicemente cancellato tutto ciò che poteva essere oggetto di trattative.
Basta leggere la loro piattaforma, nella parte relativa ai lavori atipici, che si è conclusa cancellando il capitolo contrattuale sul tempo determinato.
Se hanno un senso le cose che ho detto, abbiamo tutti di fronte a noi il problema di come riconquistare il contratto e, aggiungo, di come riconquistare la contrattazione. Come riconquistare il contratto e la contrattazione, in presenza di un contratto nazionale firmato da FIM e UILM che si svilupperà nei prossimi mesi con il recepimento delle leggi in essere, quella sull’orario e quella a tempo determinato, ed i Decreti attuativi in divenire nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Le notizie che circolano è che buona parte di questi Decreti sono già pronti, sono già scritti, a partire da quello sul lavoro a chiamata.
Con queste 16 ore di sciopero, da svolgersi entro il mese, e lo sciopero nazionale del 16 maggio abbiamo dato una prima risposta e verificato positivamente l’adesione e la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici. Nulla di particolarmente esaltante, ma veramente non capisco chi parla di fallimento dello sciopero, per la semplice ragione che non corrisponde alla realtà.
Il consenso alle nostre posizioni è molto ampio, come testimoniano le elezioni delle rappresentanze sindacali e, per quanto paradossale possa apparire, le stesse assemblee di FIM e UILM, con la ridicola ed insultante procedura della doppia scheda per iscritti e non iscritti.
Per riconquistare il contratto non vedo altra strada che non sia quella di determinare una situazione che renda impraticabile per le aziende l’applicazione del contratto nazionale, concordato con FIM e UILM.
Non mi riferisco agli atti, che pure vanno compiuti dal versante legale con la diffida nei confronti delle aziende e delle loro associazioni, ma sarebbe illusorio affidarsi all’utilizzo di questi strumenti, se non abbiamo piena consapevolezza che, alla fin fine, ciò che conta sono i rapporti di forza che siamo in grado di mettere in campo.
L’iniziativa legale che afferma la ultrattività del contratto, sulla parte normativa, è tanto più rilevante ed importante se è parte di un’iniziativa generale.
Questo è possibile se noi siamo in grado di disarticolare la Federmeccanica, la sua rappresentatività, creando le condizioni per riconquistare il contratto e la contrattazione.
Non ritengo che il conflitto che abbiamo aperto, per il significato ed il valore di carattere generale che assume, lo possiamo gestire attraverso il fatto di riproporre periodicamente soltanto iniziative di carattere nazionale, perseguendo l’idea che nell’arco di alcune settimane ci giochiamo la possibilità di fare un nuovo accordo Federmeccanica-Fiom, che superi, che cancelli l’accordo Federmeccanica-Fim-Uilm, pena la nostra sconfitta.
Credo, del resto, che tutti conveniamo sul fatto che non si tratta di modificare qualche virgola all’accordo siglato da FIM e UILM, perché il problema non è quello di costruire una mediazione più avanzata, oppure rientrare attraverso il meccanismo dei rinvii e delle innumerevoli Commissioni previste, come peraltro vanno dicendo alcuni padroni, ma costruire un nuovo contratto.
Pare evidente che questo significa cambiare, sostanzialmente, le scelte che Federmeccanica e Confindustria – in accordo con il governo – stanno attuando.
Per queste ragioni è necessario coniugare le iniziative nazionali con l’iniziativa aziendale, con una griglia di piattaforma da decidere e coordinare nazionalmente, che esplicitamente richiami il contratto nazionale e le priorità che noi assumiamo.
In questo modo possiamo evitare anche la logica della nostra disarticolazione, sulla base dell’iniziativa di questa o di quella azienda che propongono pre-accordi sulla parte retributiva.
A livello nazionale dobbiamo decidere, quindi, un ulteriore pacchetto di ore di sciopero articolato e porci seriamente l’obiettivo del blocco degli straordinari e della flessibilità.
Non si tratta di ribadire una decisione già assunta, ma di praticarla concretamente nei luoghi lavorativi e sappiamo tutti come può incidere pesantemente sulla produzione.
Il conflitto sociale aperto rende, del resto, evidente il senso ed il significato della Cassa di resistenza come forma di solidarietà e di sostegno alle lotte particolarmente gravose e prolungate nel tempo, questa scelta deve vivere in tutte le nostre iniziative. Definire nello stesso tempo le nostre priorità per iniziative aziendali, dico “priorità” e non quindi una griglia dettagliata, ma priorità per le iniziative aziendali che riassumo nei seguenti aspetti: non recepimento della legge 30; conferma della normativa contrattuale dell’orario di lavoro del contratto nazionale del ’99; definizione dei tempi entro cui i contratti a termine ed interinali vengono trasformati a tempo indeterminato; aumento retributivo corrispondente alla difesa del potere d’acquisto, a partire da gennaio 2001, ed in questo, ovviamente, io colloco anche la produttività dell’accordo del biennio passato.
Tutto ciò deve avvenire sulla base di una scelta e di un coordinamento nazionale e validata dal voto dei lavoratori, perché la democrazia rappresenta per noi un aspetto decisivo.
Deve essere chiaro, a tutti noi che non mi riferisco al rinnovo dei contratti aziendali, ciò che propongo è un’altra cosa, vuol dire esplicitamente che, a fronte di un contratto nazionale firmato da FIM e UILM, attraverso il Coordinamento nazionale, noi apriamo vertenze, con il consenso dei lavoratori, che hanno come riferimento un diverso contratto nazionale che assume le nostre priorità, quelle votate nei referendum dai lavoratori.
So bene, capisco che lungo questo percorso si apre in tutta l’organizzazione una fase nuova e diversa che segnerà la nostra iniziativa. Colloco in questo quadro il rapporto con la trattativa in corso con la Confapi e la Lega delle Cooperative. Non abbiamo alle spalle, in questo caso, l’accordo separato del biennio e noi siamo, ovviamente, fortemente interessati ad una conclusione positiva delle trattative in corso.
La griglia di riferimento che ho prima indicato nella definizione delle priorità può essere il terreno su cui verificare la disponibilità per chiudere la vertenza e/o comunque per entrare in una fase più stringente della trattativa, allo stato attuale queste condizioni non ci sono, né sul piano retributivo, né su quello normativo, e noi non siamo interessati ad un contratto similare a quello della Federmeccanica, dobbiamo indicare una strada diversa.
Siamo oggetti di una campagna denigratoria, fondata e costruita secondo l’immagine che la FIOM e la CGIL siano fautori degli atti di intolleranza e di settarismo, con l’esplicito tentativo di oscurare il merito del conflitto sociale esistente.
Dobbiamo compiere anche atti formali, assieme alla CGIL; nei confronti delle autorità preposte, per denunciare il comportamento degli organi di informazione che stanno negando il diritto democratico all’informazione da parte dei cittadini.
E’ in questo contesto che colloco il referendum del 15 giugno. Non mi pare il caso di ribadire la nostra posizione se non per sottolineare il fatto che in queste ultime settimane dobbiamo essere fortemente impegnati a tutti i livelli per sostenere ed affermare l’esito positivo della scadenza referendaria.
In tutte le nostre iniziative deve essere visibile la nostra posizione. La decisione assunta dalla CGIL, non solo di indicazione di voto per il “sì”, ma di partecipazione diretta alla campagna referendaria, rappresenta una scelta di grande rilevanza e di esercizio di autonomia.
Il fronte del “no” si è praticamente liquefatto e si è spostato sul terreno del “non voto”, dell’astensione dal voto, cioè il boicottaggio del referendum.
Che il Presidente del Consiglio inviti a boicottare l’esercizio di un diritto costituzionale rende l’idea di una deriva autoritaria e dei rischi di tenuta democratica che stiamo vivendo.
Considero stupefacente che anche nella Sinistra ci siano posizioni di questa natura, mosse essenzialmente dal timore che, se viene superato il quorum, possano vincere i “sì”, possa affermarsi l’estensione dell’art.18 a tutti i lavoratori dipendenti.
Un successo al 15 giugno può contribuire ad aprire una fase diversa, anche per le nostre vicende contrattuali, sul terreno dei diritti, della lotta contro la precarietà e della democrazia.
Compagni e compagne, ho indicato alcuni aspetti relativi alla situazione straordinaria che stiamo vivendo, alla ridefinizione dell’assetto sociale, istituzionale e politico di questo Paese, al clima di regime che tocchiamo con mano.
Non siamo di fronte ad un episodio, seppur grave, ma ad una fase che cambia sostanzialmente per tutti lo scenario che abbiamo di fronte per i prossimi anni. Non esiste, non può convivere, un contratto nazionale firmato da FIM e UILM, mentre tutto continua come prima nella nostra attività, nei territori, nelle aziende, nel lavoro di ognuno di noi. Cambia tutto per tutti!
Già dalle prossime settimane, peraltro, dopo le scadenze elettorali, avremo a raffica i primi Decreti attuativi che scardinano il mondo del lavoro dipendente.
Dire che tutto ciò era prevedibile, a partire dalle analisi che abbiamo sviluppato sui processi in atto a livello internazionale e nazionale, non è sufficiente rispetto al fatto che adesso dobbiamo fare i conti con una fase che metta in gioco la stessa sopravvivenza della FIOM così come la conosciamo e, quando dico FIOM, intendo la storia dei metalmeccanici come soggetto contrattuale e democratico.
Per queste ragioni propongo di accompagnare le scelte sulle lotte per riconquistare il contratto e la contrattazione, che rappresenta la nostra assoluta priorità, con la decisione di un Congresso straordinario da avviare nel prossimo autunno con una sessione specifica del Comitato Centrale.
Non concepisco il Congresso straordinario come uno strumento a cui ricorrere soltanto quando esiste una crisi del gruppo dirigente di ingovernabilità dell’organizzazione. Viceversa, ritengo il Congresso per sua natura lo strumento più democratico nel rapporto con gli iscritti, con l’insieme dell’organizzazione, per verificare, puntualizzare, aggiornare le nostre analisi e le nostre scelte, a fronte di una situazione che certamente segna anche un elemento di discontinuità.
L’obiettivo di tale Congresso è quello di valutare i risultati dell’iniziativa contrattuale e delle stesse conseguenze del voto referendario.
Obiettivo fondamentale è quello di determinare un’innovazione strategica, motivata dal fatto che i risultati congressuali, pur avendo previsto una trasformazione profonda a livello sociale e politico, non potevano in quella fase realizzarla.
Si tratta, quindi, di determinare un’innovazione strategica che ha bisogno del consenso dei lavoratori e delle lavoratrici, insieme alla stessa esperienza dei gruppi dirigenti.
Sono convinto che ciò serva a rafforzare le scelte compiute, ad attrezzarci ad un conflitto sociale, non solo riferito che non avrà tempi brevi, per contribuire in questo modo alla stessa discussione della CGIL.
Per questo ritengo opportuno che la Conferenza di Organizzazione, prevista per la fine dell’anno, venga assunta nell’ambito del Congresso straordinario. La stessa riforma organizzativa della CGIL, peraltro, “accorpamenti e confini delle categorie”, non può avvenire a pezzi, come pare delinearsi anche per la nostra categoria, senza una scelta sull’assetto complessivo della Confederazione e delle categorie, perché pare evidente, a quel punto, che anche le scelte organizzative sui confini delle categorie, è parte integrante di una scelta che riguarda non solo l’organizzazione, ma la contrattazione, il futuro della Fiom e della Cgil..