I favori del governo Nella Finanziaria l’aumento del bonus scolastico sotto forma di maggiori finanziamenti a chi iscrive i figli negli istituti privati. Previste anche forme di flessibilità per le non statali in deroga alla normativa nazionale. La protesta della Cgil
Il bonus scolastico per le scuole paritarie arriverà – grazie al maxi-emendamento della finanziaria approvato alla Camera – a 157 milioni di euro. «Più del triplo di quanto stanziato – ha denunciato ieri il segretario della Flc Cgil, Enrico Panini – con la finanziaria del 2005 che alle scuole private garantiva una copertura di `soli’ 49. 820. 216 euro». Si tratta – rilancia Alba Sasso, deputata Ds e componente della Commissione cultura a Montecitorio – «dell’ennesimo regalo del governo al settore dell’istruzione privata. Un regalo fatto nel momento stesso in cui pesanti tagli colpiscono, al contrario, il sistema pubblico».
Per intendersi: tagli alle spese per le supplenze brevi, per l’offerta formativa e per l’aggiornamento dei docenti. E tanto per essere più precisi: proprio grazie a questi tagli, il governo avrebbe potuto stanziare «maggiori finanziamenti in favore delle famiglie che iscrivono i figli alle scuole private».
Ma la bufera abbattutasi sulle paritarie non rigurda solo «vili» questioni di denaro: una circolare diramata negli ultimi giorni dal ministero dell’istruzione stabilisce che «il mancato rispetto degli obblighi contrattuali non costituitsce motivo di revoca del beneficio della parità». Il linguaggio è oscuro ma, in soldoni, si «limita» a dire che le scuole paritarie sono autorizzate ad assumere personale docente anche in forme diverse da quelle del contratto a tempo determinato.
Tradotto: i dirigenti scolastici non avranno più l’obbligo di applicare i contratti nazionali di lavoro al personale. «L’obiettivo è chiaro – spiega Panini – da un lato si vogliono togliere tutti i vincoli posti dalla legge 62, lasciando mano libera ai gestori; dall’altra si vogliono individuare gli strumenti per finanziare le scuole private e aggirare l’articolo 33 della Costituzione. Ormai l’attacco alla scuola è continuo e costante ed ha l’obiettivo di costruire un mercato dell’istruzione in cui il sapere è una merce e le scuole sono aziende».
Mettiamola così: c’è una legge di parità secondo la quale, dopo un periodo di transizione, il ministro dovrebbe riferire al parlamento sullo stato relativo alla sua attuazione e poi, in base al dibattito, proporre soluzioni. E invece il governo che ti fa? «Assegna solo al ministro – denuncia ancora Panini – il potere di dettare le regole che governano il sistema delle scuole non statali». Nonché di fissare i paletti necessari al riconoscimento dei titoli e alla validità dei percorsi di studio. In gioco, vien fatto di capire, c’è lo statuto e il destino delle scuole islamiche che potrebbero anche non rispondere ai requisiti minimi per essere definite, appunto, «scuole».
Ed è bufera anche tra i lavoratori Ata della scuola che ieri sono scesi in piazza per protestare contro la presentazione di un emendamento contenuto nella legge Finanziaria in discussione al Senato che – affermano – nega il diritto al riconoscimento economico del servizio prestato alle dipendenze degli enti locali. Ne danno notizia i sindacati della scuola Cgil, Cisl e Uil. Con questo provvedimento, secondo i sindacati, si «nega quanto è stato riconosciuto in sede di contenzioso legale, che ha visto prevaricare quanto sostenuto dai lavoratori». Le conseguenze per il personale, spiegano, «sono gravissime sul piano economico e colpiscono ancora una volta un settore già duramente colpito dai tagli di organico. Si tratta di un atto gravissimo che interviene con arroganza, senza prefigurare alcuna soluzione alternativa». I lavoratori Ata presenti in piazza, e gli insegnanti tecnico-pratici, «rapinati da questa decisione del governo», hanno chiesto «il ritiro dell’emendamento alla legge Finanziaria, il rispetto delle regole e dei diritti acquisiti e riconosciuti».