Referendum costituzionale, un voto dalle mille insidie

L’esito del referendum sulla riforma costituzionale è tutt’altro che scontato. La vittoria del no è decisiva per la democrazia, ma quanti sanno che ci sarà il referendum e in quale data e con quale quesito? Può sorprendere, ma perfino nel popolo delle primarie, tra quelli che fecero la coda per votare, abbonda l’ignoranza. Se gliene parlate si accendono d’interesse ma ciò stesso dimostra che ne avevano cognizione imprecisa. Vogliono leggere qualcosa di chiaro, chiedono spiegazioni, ma intanto non sapevano, o almeno non abbastanza.
Si può affrontare in queste condizioni un referendum così insidioso? Con procedura incostituzionale (l’articolo 138 usato per cambiare in blocco più di 50 articoli, invece che per fissare circoscritte correzioni a singoli articoli), il centrodestra ha imposto in Parlamento una deformazione dell’intera seconda parte della Carta, con evidenti conseguenze anche sui principi della prima parte. La devoluzione alle regioni dei poteri su sanità e scuola produrrà disuguaglianza tra i cittadini. Il bicameralismo perfetto sarà sostituito da un tricameralismo incasinato. Il Presidente della Repubblica privato dei suoi poteri decisivi. Gli stessi poteri attribuiti al futuro premier, che con lo scioglimento della Camera potrà ricattare la sua stessa maggioranza e godrà di una potestà assoluta, confortato dall’acquiescenza di una Corte costituzionale addomesticata e limitato solo dall’impossibilità di sciogliere il Senato. Se passa questa riforma l’Italia non sarà più una repubblica parlamentare e la sua democrazia sarà incrinata in modo irrimediabile.
Non è una catastrofe che giunga inaspettata. La prima assemblea pubblica di allarme per la Costituzione è stata tenuta a Firenze il 1 marzo 2003, con la presenza del Presidente Scalfaro e dei costituzionalisti Elia, Pizzorusso, Allegretti e Grassi. E’ cominciata lì l’avventura dei costituzionalisti di strada che hanno aperto la lotta per la difesa della Carta. Poi è venuta Libertà e Giustizia, poi tante esperienze di base, come la Carovana per la Costituzione, poi tutte le forze si sono unite nel Comitato Nazionale presieduto da Scalfaro, sostenuto dall’Arci e dalla partecipazione di esponenti sindacali. Sono anni ormai che queste forze si adoperano per parlare ai cittadini, senza tacere neanche i problemi più delicati, come la mancata attuazione delle intenzioni progressive contenute nella Carta.
Ma il compito è impari. Con la sua potenza mediatica l’allora maggioranza ha attribuito al proprio intento demolitore la nobiltà di un disegno moderno e innovativo, mentre ha identificato come sterili conservatori i difensori della Costituzione.
E invece di rivendicare la piena attuazione dei suoi principi fondamentali non pochi esponenti dell’Unione sono stati ansiosi di apparire a loro volta innovatori e hanno fatto a gara nell’immaginare modifiche costituzionali, soprattutto in direzione di un rafforzamento dell’esecutivo.
A distanza di un mese scarso dal voto la situazione è difficile. L’Unione ha vinto le elezioni, ma la televisione continua a servire il padrone precedente, che punta apertamente, e con stile sovversivo, a una rivincita immediata. La Lega porterà al voto tutti i suoi perché con la devolution imprime il proprio marchio sulla legislatura. An condivide con Forza Italia l’opzione per il premierato assoluto come soluzione agli impacci della democrazia. E dalla nostra parte, invece di contrapporre il più deciso dei no, alcuni sostengono l’approccio leggero, come ha scritto Sartori, di un «ni» pieno di riserve e di aperture a nuove modifiche da concordare col centrodestra. Strana logica per affrontare una battaglia decisiva.
Noi costituzionalisti di strada abbiamo fatto e continuiamo a fare assemblee pubbliche in tutta Italia, dovunque veniamo chiamati dai gruppi della cittadinanza attiva. Ma almeno nell’ultimo mese è necessario andare in televisione tutti i giorni. Noi sapremmo benissimo che cosa dire ma non abbiamo accesso. Ora c’è un primo sondaggio sull’affluenza al voto e contraddice gli ottimisti che pensavano di aver già vinto: 27 al si e solo 29 al no. Si può sperare che la paura cacci l’illusione e spinga al massimo dell’impegno?
L’Unione deve ottenere che la campagna referendaria entri tutte le sere nelle reti pubbliche e deve mandare a sostenere le ragioni del no solo chi ne ha la più ferma persuasione ed è intenzionato a battersi nel modo più opportuno per informare e convincere gli incerti. Da parte loro, i sostenitori del «ni» potrebbero, fino al 25-26 giugno, dare prova della massima discrezione.