La Costituzione repubblicana è in pericolo. Nel corso dell’ultima legislatura si è proceduto alla riscrittura della sua seconda parte. Più di 50 articoli sono stati stravolti. Le forze di governo, non a caso tutte ostili o estranee alle tradizioni politiche della Costituzione antifascista, non hanno esitato, dopo cinque anni di sistematiche violazioni della legalità, a mettere in campo la loro idea di Costituzione: concentrazione del potere politico nelle mani del capo del governo, limitazione dei poteri di indirizzo e di controllo del Parlamento, compressione dei poteri di garanzia della Corte e del Presidente della Repubblica, rottura dei vincoli di solidarietà nazionale tra le diverse aree del Paese.
L’ultima parola però non è ancora stata detta. E l’ultima parola spetta ai cittadini italiani. Solo i cittadini votando No al referendum costituzionale potrebbero impedire l’entrata in vigore della controriforma e riappropriarsi così della loro Carta fondamentale, tenacemente insidiata in questi anni dall’avventurismo costituzionale, dai tentativi striscianti di rottura dell’unità nazionale, dall’incalzante cultura plebiscitaria.
La controriforma delle destre non riguarda soltanto singole norme sull’organizzazione dello stato, ma investe direttamente anche la prima parte della Carta, i principi fondamentali dell’ordinamento, gli strumenti di tutela dei diritti. Sarebbe davvero ingenuo pensare che la contorta revisione del procedimento legislativo (trasformato in una sorta di braccio operativo del primo ministro) non coinvolga anche i diritti di libertà il cui esercizio è regolato dalla riserva di legge. Così come sarebbe davvero azzardato non voler comprendere che l’attribuzione alle regioni della potestà legislativa esclusiva in ambiti sociali particolarmente esposti (la sanità, l’istruzione, la sicurezza) mina alle fondamenta anche il principio di eguaglianza e le ragioni stesse della cittadinanza nazionale.
La pericolosa sfida lanciata dalle destre impone oggi a tutte le forze democratiche di dare vita a una straordinaria mobilitazione politica e culturale all’altezza della posta gioco: la Costituzione e l’avvenire della Repubblica. In ragione di ciò grave e inopportuna è apparsa la presentazione dell’appello Barbera-Ceccanti e i tentativi, ad essa sottesi, di rompere lo schieramento referendario prendendo nettamente le distanze dalla «impostazione prevalente nel comitato presieduto dal Presidente Scalfaro». Non è questo il momento di dividersi. Né per proporre inaccettabili avventure costituenti (e per di più senza popolo). Né per avviare, sulla pelle della Costituzione, «momenti di collaborazione parlamentare» con chi oggi vuole affossarla, prefigurando sin da ora un «allettante» terreno di intese: il mito della governabilità, l’etica del capo, la verticalizzazione del consenso.
Imporre, a un mese dal 25 giugno, una rottura all’interno dello schieramento referendario non può che avvantaggiare le destre e favorire il loro crescente desiderio di rivincita dopo la (risicata) vittoria del centro-sinistra alle elezioni politiche. Uno schieramento referendario non può che operare sulla base di un comune e indistinto spirito referendario. La natura apodittica del referendum costituzionale non consente di valutare più di due soluzioni. Così come non lo consente il quesito referendario al quale saremo chiamati a rispondere. La scheda che avremo a disposizione il 25 giugno ci chiederà semplicemente se siamo favorevoli alla revisione costituzionale così come approvata in compiaciuta solitudine dalle destre, o se preferiamo invece che resti in vigore l’attuale Costituzione. Altri quesiti, almeno per il momento, non mi pare che siano stati vagliati in Cassazione.
Ingenerare ulteriore confusione rivendicando «un impegno chiaramente distinto» nella campagna referendaria o invocando addirittura un «percorso straordinario costituente» per costruire «un’Italia più moderna» dotata di esecutivi forti e stabili (più o meno quello che chiede oggi la destra) non rende un buon servizio allo sforzo di tanti cittadini, in queste settimane, impegnati nella difficilissima battaglia per il No. La disinvolta evocazione del conflitto tra potere costituente e potere costituito, ingenerando comprensibili diffidenze nel corpo elettorale (soprattutto a sinistra), rischia di incrinare gravemente il significato della mobiltazione referendaria. E tutto ciò, a un mese dal referendum, appare imprudente e pretestuoso. Anche perché – sarebbe bene ricordarlo – lo spirito costituente si è sempre fondato sulle ragioni della storia e non su quelle dell’ingegneria costituzionale. E le ragioni della storia stanno tutte dentro la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza.