Sono esponenti di primo piano della Fiom. Ieri hanno preso la parola «a titolo personale» come iscritti ai Ds che sostengono la mozione Mussi. «Il più grande partito della sinistra italiana sta per sciogliersi in un nuovo partito che non si collocherà più a sinistra e non farà più parte del socialismo europeo. Noi non condividiamo questa scelta», esordisce pacato e netto Maurizio Landini, segretario nazionale della Fiom. Ma il mestiere di sindacalista non si può mettere tra parentesi. E infatti «il lavoro» è stato il tema chiave dell’incontro di ieri con Fabio Mussi (che si è tenuto, non per caso, alla Camera del lavoro di Milano). I Ds si sono già spinti parecchio avanti nell’abbandono della rappresentanza politica del lavoro dipendente. Il Partito democratico ci metterà una pietra sopra. Per questo «noi non ci saremo», annunciano un nutrito gruppo di sindacalisti e due studiosi appassionati del lavoro, il sociologo Luciano Gallino e il giuslavorista Massimo Roccella.
Forte del 15% conquistato nei congressi di sezione, giovedì prossimo Mussi lancerà «un estremo appello ai compagni della mozione Fassino» perché fermino il treno che corre a precipizio verso «l’irreparabile». Ci vorrebbe «un miracolo», il leader della mozione 2 sa che non succederà. E dunque bisognerà costituire qualcosa di sinistra a sinistra del Pd. Resta l’incognita dei tempi. Giorgio Airaudo (Fiom Torino) li vorrebbe accelerati, «ormai abbiamo messo in moto aspettative anche fuori dai Ds, dobbiamo rispondere a quelle senza aspettare il congresso». La maggioranza dei partecipanti all’assemblea ci è sembrata più attendista e Mussi ha evitato di dire se le strade si separeranno prima o al congresso dei Ds che si terrà dal 19 al 21 aprile a Firenze.
Tattica a parte, sulla sostanza la convergenza è stata ampia. La globalizzazione ha allargato come mai prima d’ora l’area del lavoro salariato. Nello stesso tempo, ha abbassato il valore del lavoro, l’ha frammentato e precarizzato, gli ha tolto centralità e rappresentanza. «Chi pensa che questa deriva sia un dato di fatto ineluttabile fa il Pd. Chi pensa che si possa contrastarla farà qualcosa d’altro», sintetizza Landini, un qualcosa dove abbiano diritto di cittadinanza le parole «sinistra» e «socialismo». Il segretario della Cgil Paolo Nerozzi, che ha firmato la mozione Mussi, sottolinea la «rottura storica» operata dal manifesto del Pd redatto dai dodici saggi: «Lì si dichiara l’equidistanza, quasi l’indifferenza, tra lavoro e capitale». Il lavoro diventa merce, per di più «vile», osserva Mussi, «le imprese vogliono analfabeti per far andare le macchine e laureati per rispondere nei call center». Ha ragione Gallino, nessuno si occupa più della «qualità» del lavoro, «neppure gli operai». Eppure il lavoro è tanta parte del «mondo nuovo», basti pensare al suo rapporto con l’ambiente. «Chi non lo vede è accecato dall’ideologia». La parola lavoro nel manifesto dei dodici «compare qua e là come un sughero tra le onde, si spendono più parole sul cinema che sull’ambiente». D’Alema vuole andare «oltre» il socialismo. Pure noi, conviene Mussi, ma per noi oltre significa «avanti a sinistra», mentre il Pd va «fuori e indietro».
La «rottura» sul lavoro si accompagna alla rottura sulla «laicità». Massimo Roccella dimostra che «tutto si tiene» attualizzando una battuta di Pierre Carniti ai tempi del referendum sul divorzio: «La famiglia più che dal divorzio è minacciata dai turni di notte». Ora potremmo dire che «la famiglia più che dai Dico è minacciata dalla precarietà». Laura Spezia (Fiom nazionale) non ne può più della riduzione delle politiche sociali a politiche per la famiglia. «Così si cancellano decenni di lotte delle donne, i diritti sono delle persone, non delle famiglie. La sinistra questo non lo può dimenticare. Noi non ci rassegneremo a fare la sinistra dentro il Pd e penso lo si debba dire prima del congresso».
Agghiacciante quel che racconta Bruno Papignani (Fiom Bologna): «Guardate che Fassino è più a sinistra di tanti assessori e tanti capi di cooperative. Nei congressi di sezione la parola socialismo fa paura, all’improvviso sono tutti diventati cattolici e familisti». C’è un vasto ceto politico che da un pezzo ha archiviato la storia da cui viene. «Una nuova classe» la definisce Mussi. Bersani sostiene che la sinistra esiste in natura. Non è vero, replica il leader della mozione 2, «la sinistra non è un bagaglio appresso che segue i notabili nei loro spostamenti. La sinistra esiste solo se è adeguatamente rappresentata». Il Pd non lo fa e «io non mi rassegno». Neppure Gallino si rassegna: «Se si fa il Pd e basta, la sinistra sarà politicamente finita per cinquantanni. Occorre reagire, aggregare tutte le forze di sinistra che non si riconoscono in un partito moderato di centro».
Epifani non prenderà la tessera del Pd. E chi vorrà fare la corrente del Pd dentro la Cgil, avvisa Nerozzi, «troverà nemici feroci».