C’è anche l’Italia tra i 14 paesi europei complici degli abusi compiuti dall’intelligence Usa ai danni di individui sospettati di terrorismo, nello scandalo che va sotto il nome di «voli Cia». Così afferma un rapporto investigativo che il Consiglio d’Europa
ha affidato al parlamentare svizzero Dick Marty. Le responsabilità italiane, che riguardano il precedente governo di centrodestra, consistono nell’avere autorizzato scali intermedi per gli aerei che trasferivano le persone illegalmente arrestate, e nella mancata collaborazione con gli inquirenti. Quest’ultima accusa è rivolta esplicitamente all’ex-ministro della Giustizia, il leghista Castelli.
Lo scandalo riguarda una trentina di arresti, detenzioni e trasferimenti illegali di presunti terroristi di diverse nazionalità, in epoche successive agli attentati dell’11 settembre 2001. Le operazioni sono state effettuate da agenti dei servizi segreti americani servendosi di una «ragnatela» mondiale di prigioni clandestine e di aeroporti messi a disposizione dai governi amici. Almeno una di queste catture, in tutto simili a dei rapimenti, ebbe per teatro l’Italia. Vittima l’imam Abu Omar, prelevato a Milano nel giugno 2003, caricato su un aereo diretto in Germania prima, e poi in Egitto, dove fu interrogato, torturato, rilasciato, e nuovamente arrestato.
Dei 14 Paesi europei citati da Marty, ad alcuni vengono attribuite responsabilità più pesanti. Sono Cipro, Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna, Polonia e Romania, accusati «di collusione, attiva o passiva, in materia di detenzioni segrete e trasferimenti illegali fra Stati». Bucarest e Varsavia in particolare avrebbero svolto un ruolo importante nell’allestire centri di detenzione clandestini. Nella seconda fascia, quella dei Paesi meno coinvolti, rientrano Gran Bretagna, Germania, Svezia, Turchia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, e Italia. La partecipazione si sarebbe limitata a consentire i passaggi aerei o gli scali dei velivoli della Cia.
Marty indica il principale colpevole nel governo di Washington. «Furono gli Stati Uniti -scrive nel rapporto- che in concreto crearono questa riprovevole rete. Noi però riteniamo anche di avere accertato che fu soltanto attraverso la collusione, intenzionale o grossolanamente negligente, dei partner europei che una tela simile fu in grado di estendersi attraverso l’Europa».
Un capitolo non meno preoccupante è lo scarso interesse all’accertamento della verità manifestato da vari governi, che per lo più «non sembrano particolarmente ansiosi di stabilire i fatti. Il caso più inquietante, perché il meglio documentato, è quello dell’Italia». «L’allora ministro della Giustizia -dice Marty- ha usato i suoi poteri per intralciare l’opera delle autorità giudiziarie. Oltre a ritardare l’inoltro delle rogatorie alle autorità americane, ha rifiutato categoricamente di inviare i mandati di cattura che erano stati spiccati». Il relatore conclude dicendosi scettico sul fatto «che le autorità italiane non fossero a conoscenza di questa ampia operazione della Cia». Al contrario l’inchiesta dimostra «che funzionari italiani presero direttamente parte al sequestro e che i servizi di intelligence erano coinvolti».
I leader politici chiamati in causa, negano ogni responsabilità. Se per Tony Blair nel documento «non c’è assolutamente nulla di nuovo», il suo omologo polacco Kazimierz Marcinkiewicz parla di «calunnie che non si basano su alcun fatto». Il ministero degli Esteri di Madrid respinge «in maniera netta e ferma» le ipotesi di Marty, che il Dipartimento di Stato Usa definisce semplici «illazioni». In Italia, dove il governo è cambiato rispetto a quello in carica all’epoca dei fatti, l’europarlamentare Ds Claudio Fava, relatore della commissione d’inchiesta del Parlamento di Strasburgo sulla Cia, sottolinea che il rapporto «conferma ciò che la nostra commissione sostiene ormai da diversi mesi: esiste un concorso di colpa di molti paesi europei nelle operazioni clandestine e illegali che la Cia ha organizzato dopo l’11 settembre nella lotta al terrorismo».