Radar e pattugliamenti delle coste per fermare i migranti

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Oscurato dallo scontro in atto sul bilancio comunitario, all’ordine del giorno del vertice dei capi di governo dell’Ue che si è aperto ieri sera a Bruxelles c’è un punto fondamentale per il futuro dell’Europa: quello che i documenti ufficiali definiscono il «rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri sul fronte del contrasto dell’immigrazione clandestina». E’ il governo spagnolo a premere per un salto in avanti su questo terreno. E non è un caso: ancora non si è spenta nel paese iberico l’eco dei fatti di settembre e ottobre, dell’assalto di migliaia di migranti ai muri eretti attorno alle enclave spagnole in Marocco, a Ceuta e a Melilla. In quei giorni tragici, al prezzo di decine di morti, il carattere criminale delle politiche europee di fortificazione dei confini è infine apparso senza veli di fronte al coraggio e alla determinazione di donne e uomini sub-sahariani che hanno affermato nei fatti di essere indisponibili a subordinare la propria mobilità alle “leggi” della domanda e dell’offerta di lavoro. L’opinione pubblica spagnola ne è rimasta, almeno per un attimo, shockata, e il governo di Zapatero – sollecito nello schierare l’esercito contro i migranti nei giorni degli assalti alle frontiere – è stato costretto ad assumere come propria priorità l’elaborazione di un nuovo modello di controllo dei confini: un modello non necessariamente meno brutale, ma capace di diluire nel tempo e nello spazio la propria azione, evitando il prodursi di situazioni scandalose e alla lunga insostenibili come quelle di Ceuta e Melilla. Un modello europeo, fondato al tempo stesso sul coinvolgimento nella gestione dei confini esterni dell’Unione dei Paesi confinanti. Non è d’altronde soltanto una questione d’immagine.
E’ ormai sempre più diffusa, all’interno delle stesse istituzioni europee così come dei governi nazionali più avvertiti, la consapevolezza del fatto che una politica di rigida chiusura dei confini è anche economicamente controproducente. L’Europa ha bisogno di nuovi migranti: è quanto si può leggere tra le righe dello stesso Libro verde presentato dalla Commissione nel gennaio di quest’anno. Assai più che di muri, l’Europa necessita di un sistema di dighe, di un meccanismo di filtro, di dispositivi flessibili di management dei movimenti di popolazione, capaci di assicurare l’afflusso di lavoro qualificato ma anche di una forza lavoro just in time, da impiegare senza troppi impicci (e, va da sé, senza troppi diritti) in agricoltura, nell’industria, nei servizi. Le proposte in discussione in questi giorni a Bruxelles non si limitano così al pattugliamento congiunto delle acque del Mediterraneo e al ricorso a tecnologie sempre più sofisticate, quali ad esempio le reti satellitari, per contrastare l’immigrazione “clandestina”. Il riferimento alla necessità di valorizzare le “opportunità” derivanti da un’immigrazione “legale, gestita e controllata” è ben presente nei documenti del governo spagnolo ed è ampiamente condiviso, almeno sul piano delle retoriche, dalla maggior parte degli altri governi europei. Gestire e controllare l’immigrazione in Europa, d’altro canto, diventa sempre più una materia cruciale nello sviluppo della “politica estera” dell’Unione europea: non solo per il coinvolgimento crescente, a cui già si è fatto cenno, dei paesi confinanti nella gestione dei “confini esterni” dell’Unione; ma anche perché, a fronte di movimenti migratori le cui caratteristiche di autonomia e di ingovernabilità vengono ormai apertamente riconosciute, l’obiettivo diventa quello di intervenire in profondità negli stessi sistemi economici e sociali dei paesi di provenienza e di transito dei migranti, per costruire le condizioni di una loro canalizzazione selettiva verso i mercati del lavoro europei.
E’ dunque assai complessa la posta in gioco in questi giorni a Bruxelles in materia di controllo dei confini europei e di politiche migratorie. Quel che è certo è che, su questo fronte, siamo a un punto di svolta in Europa. Quel che sarebbe bene mettere all’ordine del giorno nella stessa discussione della sinistra critica europea è la crisi ormai conclamata di un regime migratorio che si è andato definendo negli ultimi quindici anni nella cornice del processo di “comunitarizzazione” delle frontiere esterne dell’Unione. E’ il regime migratorio che i movimenti antirazzisti e dei migranti hanno contestato attraverso l’immagine della “Fortezza Europa”. Le proposte attualmente in discussione, tuttavia, sono ben lungi dal prefigurare un’uscita in avanti, in termini di democrazia e qualità della cittadinanza, dalla crisi di questo regime: puntando a un controllo sempre più selettivo delle migrazioni, non fanno altro che diffondere nello spazio e nel tempo il carico di violenza finora concentrato ai confini esterni dell’Unione europea, riproducendo la precarietà della condizione dei migranti all’interno dei Paesi europei e affinando le armi contro coloro che tentano di entrarvi senza piegarsi alla razionalità mercantile del nuovo management europeo, ancora tutto da definire, delle migrazioni.