Racconti da Cuba. Dalla parte delle ragazze

Mercedes De Merlin (1789), Renée Mén-dez Capote (1901) e Soledad Cruz (1952). Sono le voci narranti del volume di Bianca Pitzorno Le bambine dell’Avana non hanno pauradi niente. Tre donne, tre date storiche fondamentali nel lungo cammino di Cuba verso l’indipendenza: dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (che però non includeva gli schiavi), alla Repubblica cubana, nata sotto tutela Usa nonostante cinquant’anni di guerre per l’indipendenza, al colpo di stato di Batista, alla rivoluzione. Donne facoltose o poverissime, capaci di «sfidare i governi, trasgredire pregiudizi, sovvertire canoni», e anche di raccontare «l’ampio quadro del mondo» a partire dall’«insignificante vita privata di una bambina». Per ricostruire la vita politica e sociale dell’isola nell’arco degli ultimi due secoli, la scrittrice Bianca Pitzorno ha scelto un’originale chiave narrativa, i ricordi delle bambine contenuti nelle tre autobiografie. Per trovare aneddoti e riscontri, ha poi spulciato fra biblioteche e bancarelle, ha sbirciato dietro le quinte con sguardo serio, avvertito o divertito, inserendo il suo racconto nel racconto. Ne risulta così un libro a finestre, intenso e divertente, che alterna biografia e storia, attualitàe cultura, e termina con un’ultima parte corale in cui parlano le cubanite di oggi. Con gli occhi di Mercedes – una bambina «creola» figlia di ricchi genitori giovanissimi e illuminati– , il lettore torna così alle piantagioni di canna da zucchero, ai neri schiavi e a quelli che si danno alla macchia. Con le parole di Renée – che interpreta in modo esilarante i discorsi solenni degli adulti –, assiste ai momenti cruciali dell’indipendenza dell’isola. E con la curiosità monella di Soledad, segue le vicende di un mondo contadino che prende gusto a discutere di rivoluzione. La storia di Cuba – sottolinea Pitzorno – è sempre stata quella delle sue donne, precoci e volitive, che hanno contato e con-tano nella vita dell’isola. Mercedes de Merlin, viaggiatrice e anfitriona, diventerà una scrittrice famosa, ammirata e ricordata a Cuba per le sue idee progressiste, nonostante una tardiva giravolta, più ambigua sulla tratta e la dominazione spagnola. I racconti autobiografici si fermano all’infanzia, ma Bianca Pitzorno aggiunge a ogni storia un paragrafo su «comeandò a finire», inserisce nel contesto importanti personaggi dell’epoca, che hanno frequentato Cuba o incontrato le protagoniste. Emergono leggendarie figure di schiavi ribelli, o giganteschi mulatti come Antonio Maceo, passato alla storia come «il titanodi bronzo»: un eroe della prima guerra d’indipendenza (10 ottobre 1868), che per 10 anni vide unitiintellettuali, massoni, contadini, neri e mulatti liberi, cinesi. Figure che rimangono nell’arte e nella memoria di Cuba, insieme a quella di José Marti, morto in battaglia nei primi giorni della terza guerra d’indipendenza (1895), punto di raccordo con la«Guerra ciquita»: la seconda guerra d’indipendenza (1879), che durò solo un anno e non ottenne la separazione dalla Spagna, ma obbligò la potenza coloniale a dichiarare abolita la schiavitù. Figure che rimangono nella memoria di Cuba, insieme all’epopea del popolo minuto che emerge anche dai ricordi delle «bambine dell’Avana». Renée, figlia del «padre della patria Domingo Méndez, dipinge con umorismo e brillantezza la presenza eroica e fedele dei lavoratori cinesi, portati sull’isola per svolgere il lavoro degli schiavi liberati. Descrive l’organizzazione del lavoro domestico ai tempi della Repubblica, «fondata su qualcosa di simile alla schiavitù» il personale di servizio lavorava dalle sei del mattino fino a sera inoltrata per paghe irrisorie, la libera uscita era concessa una volta ogni quindici giorni…Ma «erano anni, quelli, in cui un politico sarebbe morto di vergogna se gli fosse stato rinfacciato diusare le carrozze ufficiali per portare in giro la famiglia. (…) Non ce n’era uno, allora, che sognasse case con piscina e appartamenti in lussuosi palazzi». L’infanzia di Renée è l’arrivo a Cuba del cinematografo e l’incantevole mondo del circo, le scorribande coi fratelli e la spensieratezza di una vita agiata. Ma da adulta, Renée, donna politica e brillante letterata, intreccerà la sua lunga vita con la storia più recente di Cuba fino alla morte, avvenuta nel1989: già nel ’33 si lega agli studenti di sinistra, fa parte della resistenza clandestina, conosce il carcere ed è tra le fondatrici della Federazione delle donne cubane. A raccontare il periodo più recente dellastoria di Cuba, è invece l’infanzia di Soledad Cruz Guerra, le cui pagine si chiudono con l’arrivo al villaggio del rullo compressore, subito dopo il trionfo della rivoluzione, nel 1959. E che il progresso sia arrivato fin lì è anche merito della bambina Soledad che alla sua prima riunione al comitato di quartiere, nel mezzo di una discussione, ha chiesto: «Papà, ma la strada quando l’aggiustano?». È l’entrata inscena dell’«isola dei bambini» – come viene chiamata Cuba per l’attenzione rivolta ai cittadini giovanissimi: dove «anche i più piccoli, i più umili, hanno il diritto di far sentire la loro voce ed esprimere le proprie esigenze nelle Assemblee popolari. Evengono ascoltati». L’infanzia povera e contadina di Soledad, che diventerà giornalista, scrittrice e ambasciatrice di Cuba all’Unesco, è popolata di donne coraggiose – zie credenti o madri iconoclaste, descritte in modo esilarante. La bambina, che non sa cosa significhi«una donna perduta», si chiede perché le grandi scansino Maria e perché invece la madre la difenda, dicendo che, «se era caduta» non ne aveva colpa. «Che Maria fosse caduta non mi sembrava molto grave, visto che si era rialzata e camminava senza zoppicare», pensa la bambina. E quando sente gliadulti dire che, con la rivoluzione,finalmente non esisteranno più «imanghi bassi» (gli alti papaveri, sidirebbe da noi), eccola che corre a controllare l’altezza dei manghi, chiedendosi come mai siano ancora lì. Quello di Pitzorno, osservatrice attenta di un paese che ha molto frequentato, non è un saggio dianalisi politica, né un quadretto agiografico, ma un libro attento che evidenzia molti fili nella storia e nel presente: le eredità perverse della dominazione coloniale su un paese che si sarebbe sviluppato in un altro senso; i guasti del modello nordamericano che, per sessant’anni ha fatto dell’isola una colonia virtuale eancora tenta di imporsi come alternativa; le semplificazioni del modello sovietico, le mille trame della Cia per azzerare Cuba. Evitando atteggiamenti manichei, Pitzorno guarda all’anima «umanista» della rivoluzione cubana, non elude le domande, forniscetestimonianze non «schierate» sul periodo especial, il periodo di massima ristrettezza imposta al paese dall’embargo. Nordamericano. Anche quando frequenta fatti storici e intrighi di palazzo, l’occhio rimane quello dell’infanzia, la scrittura fresca e problematica. E proprio per questo, colpisce di più guardare così alla vicenda dei cinque cubani, detenuti da otto anni nelle carceri Usa per aver cercatodi prevenire l’ennesimo attentato dei fuoriusciti di Miami. Colpisce la citazione dei documenti desecretati del Pentagono che, con cinica burocrazia, programmano attentati alle colture, agli animali, oalle persone. E lascia attoniti la relazione di George W. Bush per rovesciare il governo cubano, scritta nel 2004, quel vergognoso paragrafo sulle «adozioni speciali» per i bambini i cui genitori comunistifossero morti durante la «transizione». Come fecero i militari argentini durante la dittatura. E giustamente la scrittrice si chiede perché, per i media occidentali, un errore di Cuba pesi una montagna e cose simili, invece, neanche un sassolino.