Cominciamo dal futuro, ma con un passo indietro. Esattamente al 23 maggio dello scorso anno. Quel giorno Arturo Parisi riceve, nel suo studio al ministero della Difesa, il presidente di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini. Gli dice che il governo Prodi vorrebbe costruire a Quirra, nella piana sotto il monte Cardiga, a sud di Pe-dasdefogu, un aeroporto. «L’esigenza di dotare il poligono interforze di una pista di volo polifunzionale, individuata fin dal 2004 – scrive poi Parisi in una nota ufficiale al termine dell’incontro – diventa sempre più urgente a fronte degli intensi e proficui programmi di ricerca aeronautica ed aerospaziale in cooperazione civi-le-militare, nazionali ed internazionali, che rafforzano il ruolo di eccellenza delle strutture del poligono sardo a livello europeo e mondiale». «Il presidente di Finmeccanica – spiega ancora la nota -ha convenuto sull’importanza dell’installazione anche per l’industria nazionale e ha manifestato l’interesse di partecipare alla sua costruzione, tramite apposita convenzione che ne consenta il futuro utilizzo comune. La Difesa potrà contribuire in forza delle autonome capacità dei propri Gruppi genio campale, specializzati nella realizzazione di tali infrastrutture, mentre l’industria supporterà la fornitura dei materiali e dei compound im-piantistici da porre in opera».
Poche settimane dopo il sottosegretario alla Difesa, Emidio Casula, sardo come Parisi, rincara la dose: «Un milione e 200 mila euro per tre anni, con la possibilità di rinnovare l’accordo per ulteriori dieci anni. Questa la somma che il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira) verserà al ministero della Difesa per l’utilizzo del poligono sperimentale interfor-ze del Salto di Quirra, per i propri programmi sperimentali civili che comprendono anche attività di prove con voli nella stratosfera». E aggiunge Casula nelle euforiche dichiarazioni rilasciate alla stampa: «Si tratta di un primo, concreto esempio di impiego per scopi civili delle professionalità e delle attrezzature del poligono, che dimostra concretamente di essere una risorsa preziosa per i programmi di sviluppo aerospaziale nazionale. La collaborazione con u Cira è stata avviata al poligono di Quirra fin dal 2003 con l’esecuzione di voli sperimentali di piccoli velivoli senza piloti a bordo. La convenzione consentirà l’impiego sistematico delle imponenti capacità tecniche del poligono per realizzare programmi che saranno poi parte integrante dell’attività dell’Agenzia spaziale europea». «Un ritorno particolarmente importante di queste attività – spiega ancora il sottosegretario
Casula – è costituito dalle ricadute dirette e indirette sul territorio, in quanto tecnici e ingegneri del Centro di ricerche aerospaziali risiederanno per lunghi periodi nelle varie località dell’Ogliastra e attiveranno le varie realtà produttive locali per supportare i programmi di interesse del Cira». Come a dire: sviluppo locale sì, ma trainato dall’industria di guerra. «Al tempo stesso questa attività costituisce -completa il quadro Casula – il primo tassello verso la realizzazione del Centro di sperimentazione aerospaziale nazionale, per impieghi civili e militari, che potrebbe far convergere sul territorio sardo forze produttive, ricercatori e fondi per lo sviluppo di velivoli e di sistemi spaziali di prossima generazione».
Più chiaro di così. Altro che chiusura del poligono, come chiedono i movimenti pacifisti e antimilitaristi sardi: a Quirra non si lascia, si raddoppia. Pista di volo e sperimentazione aerospaziale sono il futuro. E per cancellare ogni dubbio sulle reali intenzioni del governo, Parisi ha fatto sapere alla commissione Difesa della Camera che è allo studio un progetto per affidare la gestione di Quirra ad un consorzio pubblico-privato: il 51 per cento alla Difesa, la quota rimanente divisa tra le principali industrie nazionali degli armamenti (Finmeccanica, Vitrociset, Galileo Avionica). Un progetto che, se andasse in porto, segnerebbe la formalizzazione di una situazione di fatto che dura da decenni, da quando la base è stata aperta il 20 agosto 1956. Perché Quirra, 14 mila ettari di estensione, la più grande base militare d’Europa, non è solo un posto dove si fanno esercitazioni delle tre armi italiane e degli eserciti di mezzo continente. Quirra è anche un posto dove le industrie degli armamenti di tutto il mondo possono sperimentare, pagando un canone alla Difesa, nuovi sistemi d’arma. Che ora si progetti di fare entrare l’industria militare nazionale nella gestione della base, non rappresenta, di fatto, alcuna novità. Più che altro, il progetto di Parisi punta a scaricare dal bilancio della Difesa alcuni costi. Per il resto, lo stretto legame tra attività di addestramento delle truppe e sperimentazione dei nuovi «prodotti» dell’industria bellica, non solo italiana, è la realtà di Quirra da sempre.
Per chiedere lo stop del progetto di potenziamento del poligono si sono mobilitati i militanti del Collettivo antimilitarista, che da anni lotta contro il poligono e contro tutte le basi in Sardegna. Dentro il coordinamento ci sono varie sigle: Quirra No Poligono, A-Foras, Cagliari social forum, Assemblea antifascista Kastedhu, Sinistra critica. Sulle stesse posizioni anche Gettiamo le basi, altro gruppo storico dell’antimilitarismo sardo. «La nostra regione – dicono i portavoce del Collettivo – subisce la presenza di estesissimi poligoni di tiro e di sperimentazione nei quali gli eserciti di tutto il mondo vengono per prepararsi alla guerra e per sperimentare nuovi micidiali ordigni. Mentre l’insofferenza della popolazione nei confronti di questa ingombrante presenza si fa sempre più evidente, il ceto politico sardo cerca di trattare con i militari e con il governo una sorta di scambio: la graduale dismissione dei poligoni di Teula-da e di Capo Frasca contro il via libera al potenziamento di Quirra». «Numerose dichiarazioni pubbliche – aggiungono quelli del Collettivo – confermano questo inaccettabile stato di cose. Ad esempio il discorso che Renato Soni ha tenuto di fronte alla commissione Difesa della Càmera, nella seduta del 31 gennaio 2007, in cui ha dichiarato di voler collaborare agli ulteriori investimenti nel poligono di Quirra».
A Gettiamo le basi e al Collettivo militarista non piace neppure, per come è formata e per gli obiettivi che le sono stati assegnati, la commissione d’inchiesta sui danni sanitari e ambientali istituita dalla legge finanziaria nazionale del 2007 (cifra stanziata: 2,5 milioni di euro). «La commissione – dice Mariella Cao di Gettiamo le basi – sarà gestita solo dai militari. Non hanno voluto che ci entrassero scienziati di nostra fiducia. Si può immaginare su quali garanzie di trasparenza e di correttezza sarà possibile contare».
Il gruppo di esperti nominati dalla Difesa ha il compito di analizzare campioni di suolo e di acqua prelevati da Quirra, per stabilire l’eventuale presenza di uranio impoverito o di nano particelle, le due cause possibili, insieme all’inquinamento elettromagnetico provocato dai giganteschi radar dell’aeronautica militare, dei casi di tumore al sistema emolinfatico. Casi che a Quirra, frazione del comune di Villaputzu, su una popolazione civile di circa 150 persone, si verificano con tassi percentuali molto al di sopra delle medie regionali e nazionali. Dove saranno prelevati i campioni? Nell’area ristretta di Quirra o nella zona più ampia dove già è stata compiuta un’indagine epidemiologica della Regione Sardegna? «Le ricerche vanno concentrate nella zona ristretta – dice Mariella Cao – quella dove vivono le persone che si ammalano, i 150 abitanti di Quirra. Il campione preso in considerazione dalla Regione ha studiato invece 26 mila individui, distribuiti in otto comuni. Per forza poi ha trovato un numero di tumori in linea con le medie nazionali». «Sarebbe opportuno – aggiunge Valerio Gennaro, epidemiologo consulente della commissione del Senato per l’uranio impoverito – che si facesse una semplice e pochissimo costosa indagine epidemiologica comune per comune. Solo così si potrebbero trovare le zone su cui mirare, in un secondo tempo, eventuali ricerche di materiali nocivi nel terreno e nelle acque».
Raccontano gli abitanti di Quirra: «C’è stato un periodo in cui dal poligono si sentivano esplosioni tremende, che facevano tremare le case. Poi il paese si copriva di una polvere bianca. Come se fosse nevicato». Racconta Marco Diana, militare di Vulamassargia, a pochi chilometri da Cagliari, che ha fatto la guerra in Somalia e nei Balcani e ora lotta con un tumore rarissimo, un carcinoide all’intestino: «I somali correvano per Mogadiscio sui pick up. Si spostavano da un quartiere all’altro con grande rapidità. Trasportavano i mortai. Non erano grandi tiratori. Tiravano quasi alla cieca e fuggivano via. Quando sul punto da dov’erano partiti i loro proiettili arrivavano i Black Hawck americani, non trovavano più nessuno. Ma i piloti Usa sparavano lo stesso. Dagli elicotteri veniva giù una pioggia di fuoco. Radevano al suolo tutto, isolati interi. Qualche volta si alzavano anche i bombardieri AC 130, oppure, dal mare, sparavano i cannoni della Us Navy. Le bombe delle navi, un fischio sinistro; ti passavano sopra la testa e cadevano poche centinaia di metri più in là, con un frastuono infernale. Si alzava una nuvola bianca che arrivava fino al porto, dove stavamo noi italiani. In pochi minuti la polvere candida copriva volti, mani, uniformi. Come neve».