Questo 1° maggio

Pezzo dopo pezzo ci stanno rubando la memoria delle nostre più importanti conquiste, scarnificando dall’interno con una tenacia e una regolarità degna delle maree (per l’appunto, quindi, con quel tanto di indotto senso di ineluttabilità, stanchezza e infine resa che si ha dinanzi agli eventi o ai processi ritenuti inevitabili o comunque ormai non arginabili) il significato più profondo dei nostri riferimenti ideali a cui si dovrebbe accompagnare la coerenza del nostro agire quotidiano.

Un condizionale d’obbligo visto l’avanzato stato di erosione realizzato in questi anni a discapito del rispetto e dell’applicazione di molti diritti.
L’indicazione di lavorare il 1° maggio è in buona parte riuscito in alcune grandi città (Roma, Milano, Firenze). Il fatto è molto grave ma ancor più grave è che ancora una volta esso venga spacciato come il nuovo e necessario che avanza, dinanzi al vetusto e insostenibile castello di comportamenti (leggi tenuta dei diritti) e del modo di pensare (leggi valori e principi) del trascorso novecento; secolo da dimenticare sempre più additato come luogo e madre di ogni nequizia la cui bestemmia più terribile per le orecchie dei nostri attuali innovatori, si condensa in una parola impronunciabile: ideologia! Il fatto, dicevamo, è grave. Esso è prima di tutto il frutto – non dimentichiamolo – del sommarsi dell’indebolimento politico del movimento operaio e del lavoro e del ricatto occupazionale che ha costretto, arretramento dopo arretramento, a subire da molto (troppo!) tempo ciò che si supponeva conquistato una volta per tutte o inaccettabile anche soltanto mettere in discussione, passando dallo stupore e dall’indignazione, al mugugno e al “sarebbe giusto ma oggi come si fa! …” , fino ad una muta registrazione di passi indietro quando non di veri e propri capitomboli sul terreno della difesa dei diritti democratici e sociali; anticamera di quell’abulia che ha raccontato la sconfitta della speranza e quasi sempre l’umiliazione della nostra dignità di cittadini e di lavoratori.
Paladino mediatico e sponsor principale di quest’operazione è stato quest’anno il giovane sindaco di Firenze Matteo Renzi. Figlio novo del miglior Pd d’ispirazione veltroniana, si è incaricato talmente bene di relativizzare significato e valore in sé della conquista del 1° maggio (Festa dei lavoratori e non del lavoro!; altra defaillance non lessicale ma politica ormai dilagata), da permettere un silenzioso riposo alla vociosa canea quotidiana del centrodestra. Renzi è un guitto patinato incipriato di modernità che sdogana il peggio del vecchio e il peggior senso comune, col tono e il piglio pragmatico di chi attraverso enunciazioni-spot e prese di posizioni furbette, attua scorciatoie tipiche di una presuntuosa semplificazione della complessità sociale o, per dirla nei limpidi termini della filosofia classica, della realtà. Che cos’ha detto in sostanza per convincerci che era giusto far aprir negozi e (costringere molti) a lavorare in questa giornata? : “… che i sindacati non possono più pretendere di farci vivere il 1°maggio come vent’anni fa, e cioè in chiave ideologica; bisogna essere moderni!”.
Insomma come dire: agitate pure le vostre bandiere rosse (sempre più smunte e che non impensieriscono più nessuno), fate i vostri concerti (sperando che i palloncini colorati e la coca-cola prevalgano vieppiù sulle parole d’ordine di lotta e di solidarietà), organizzate scampagnate e pic-nic di famiglie felici (nel caso con tanto di camper e cane al seguito), ma non disturbate e lasciatevi sfruttare anche oggi. D’altronde, ci par sentirgli aggiungere per noi che proprio non vogliamo stolidamente comprendere: bisogna lavorare, ce lo impongono l’Europa e la globalizzazione! E poi ognuno deve poter operare quando vuole e come gli pare, senza troppe regole e feste da rispettare … ma soprattutto, per cortesia, tacete con le vostre proteste (appunto noiosamente ideologiche!).
Sembra che al buon Renzi sfugga che ciò che più conterà, non sarà in sé quanto ci avranno guadagnato i proprietari delle più importanti filiere commerciali, ma quanto risulterà picconato ulteriormente il nostro chi siamo, da dove veniamo, che storia rappresentiamo. Un’operazione di materiale resettazione che involgarisce e offende il mondo del lavoro perché sempre più -senza memoria e orgoglio delle proprie tradizioni- esso sia amorfa plebe, massa di riserva del capitale e non più popolo lavoratore, proletariato (nella sua più larga accezione di lavoro subordinato) cosciente. In questo senso, gli riconosciamo di risultare sentimentalmente e politicamente in perfetta linea con confindustria e la vandea berlusconiana. Pensiamo che egli persino stenti a comprendere (in questo in buona compagnia) come la storia non si svenda, e come vi siano principi e valori non negoziabili. In ogni caso, a lui tale impresentabile modernità, a noi la nostra Festa del 1° maggio, la memoria delle nostre lotte e dei nostri morti sulle piazze e sui luoghi di lavoro per un mondo migliore ed una vita più degna.

(Patrizio Andreoli è della segreteria PdCI della Toscana)