Questione ambientale e la sinistra del XXI secolo

Ho letto con grande interesse la lettera aperta di Alessandro Curzi a Bertinotti sul valore rivoluzionario della questione ambientale per tre ordini di motivi.
Il nostro è un partito, come si dice, di donne e di uomini, ma anche, e la lettera di Sandro lo dimostra, di giovani ed anziani, naturalmente nei limiti delle loro possibilità, tutti uniti nella ricerca e nell’azione per trovare nelle contraddizioni del capitalismo la strada per rendere possibile per l’umanità un altro mondo di solidarietà e di pace.
Condivido anche, ed è il secondo motivo, la scelta di rivolgersi con la lettera direttamente a Fausto Bertinotti, non solo per il ruolo che ha avuto nella costruzione di una sinistra alternativa in Italia e in Europa, ma anche e soprattutto perchè nell’attuale momento, nella sua collocazione istituzionale, fuori dalla vita immediata del partito, sta svolgendo un ruolo importante sia per quanto riguarda la costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra di fronte, per certi versi, all’incredibile deriva verso il partito democratico di importanti pezzi di aggregazione derivanti dalla grande tradizione del PCI e sia soprattutto perchè, e in ciò d’accordo, secondo le ultime ripetute affermazioni, con prese di posizione di compagni autorevoli come Giordano e Migliore, affronta tematiche decisive che coinvolgono in modo prioritario la questione ambientale. E di ciò ne è valida testimonianza l’ultimo libro “La città degli uomini” in cui la questione ambientale si intreccia strettamente con la questione della pace. Il fatto che questa questione esca finalmente dall’ambito degli specialisti e venga assunta come fondamentale dai maggiori responsabili del nostro movimento, dà speranza a coloro che, come me, da venti anni affermano la necessità di riconoscere nella questione ambientale una contraddizione del capitalismo su cui agire per sviluppare un movimento di liberazione.
Infine naturalmente il terzo motivo è l’affermazione di Curzi del valore rivoluzionario della questione ambientale oggi.
Legata a questa c’è per me la questione del superamento del modello energetico che è alla base del capitalismo industriale descritto da Marx ne Il Manifesto per il secolo XIX e da Gramsci per il secolo XX nelle sue riflessioni sul fordismo. Questa riflessione parte dal rapporto tra forze produttive e modo di produzione. Il modello energetico basato sul carbone nell’800 e sul petrolio nel ‘900 ha condizionato non solo l’economia e la politica dei paesi capitalistici ma anche la struttura del potere in Urss e in Cina dove la dittatura, legata alla costruzione di complessi industriali avanzati basati sul carbone e sul petrolio in paesi partiti da società semi feudali, ha prevalso sulla democrazia dei Soviet e delle Comuni.
In questi giorni si accentuano da un lato le denunce, anche da centri di ricerca ufficiali e paragovernativi, a livello mondiale dei pericoli che corre la vita sulla terra (in particolare per l’effetto serra ma non solo) e dall’altro l’azione continua di interessi capitalistici legati al sistema energetico dominante non solo nel campo dell’economia ma anche nel campo della politica, specie americana, che fanno riflettere sull’impossibilità del capitalismo a porre rimedio ai danni causati all’ambiente fino a provocare, in una prospettiva sempre più vicina, la “rovina comune delle classi in lotta”. Di fronte a questi fatti sorgono alcuni interrogativi a cui dovremmo dare risposta.
Così come nel XIX secolo la missione dei comunisti e dei socialisti fu quella di costruire partiti e sindacati che si confrontassero sul terreno dei diritti del lavoro con il fronte capitalista e, nel XX secolo, pur continuando questo confronto nei paesi industrializzati, la missione delle forze di sinistra fu quella di spezzare l’anello più debole della catena dell’arretratezza agraria e dell’imperialismo che ha permesso di rovesciare la globalizzazione colonialista e influenzare l’avvento dello stato sociale specie in Europa, in questo XXI secolo la missione della sinistra è quella di fare leva, come dice I. Wallerstein, non solo sulla contraddizione lavoro salariato e capitale e sulla redistribuzione dello stato sociale ma anche sulla contraddizione ambientale per continuare la lotta contro il sistema capitalistico, con la consapevolezza che la sostituzione del modello energetico basato sul carbone e sul petrolio non solo salva l’ambiente ma introduce elementi di modificazione profonda della società e degli Stati, con passaggio da una situazione, come dice Hermann Scheer, di dipendenza energetica ad una situazione di autonomia energetica, cioè ad un sistema, non verticale ma reticolare di sviluppo economico e sociale e perciò meno autoritario e più giusto.
Questo discorso è stato portato avanti dagli ambientalisti. Ma un’impostazione astratta della “decrescita” può bloccare la partecipazione piena delle forze fondamentali della società che sono, ancora oggi, quelle della classe operaia e dei lavoratori creati dalle conquiste dello stato sociale. La prima grande battaglia ambientalista quella per il referendum sul nucleare fu vinta in Italia e non nel resto dell’Europa, nella sua prima fase di presentazione della richiesta di referendum, prima di Chernobyl, perché a fianco dei primi gruppi ambientalisti e della sinistra del Pci, scesero in campo per la raccolta delle firme anche la Fiom di Garavini , il sindacato della scuola ed alcuni segretari regionali della Cgil che non accettarono la linea filo nucleare portata avanti dalla maggioranza della direzione del Pci, da Lama e dalla maggioranza della Cgil. Poi venne Chernobyl e tutto sembrò facile.
Limitarsi a chiedere una riduzione percentuale, attraverso il risparmio energetico certamente auspicabile, può significare riconoscere l’impossibilità della sostituzione totale, con un modello basato sulle energie alternative, nello spazio di una sola generazione, del modello energetico dominante soprattutto nel governo e nella società americana e poi in tutto il mondo”.
Leggiamo ora nel libro “La città degli uomini” che Fausto Bertinotti dice espressamente: “Crescita e decrescita sono parole del demonio perchè possono diventare prigioni rispetto al problema che dobbiamo affrontare la cui soluzione consiste in una nuova economia ecologicamente sostenibile e socialmente progressiva. Questa è la questione.
Se diciamo: io sono per la crescita, oppure: io sono per la decrescita, facciamo di un elemento quantitativo il paradigma di un’azione che invece ha bisogno di riscoprire proprio l’elemento qualitativo (cosa, come, chi, per chi, perchè produrre) quale fattore motivante della nuova costruzione”.
Io credo che questo sia il nodo fondamentale su cui basare una politica anticapitalista, non violenta, capace di raccogliere i più ampi consensi nella società. La costruzione di una nuova sinistra alternativa passa non solo però per la definizione programmatica dei nuovi compiti del XXI secolo ma anche per lo sviluppo di movimenti che sfocino nella costruzione di nuove forme di organizzazione capaci di mobilitare e di unire milioni di cittadini che vogliono partecipare in concreto alla trasformazione pacifica e non violenta della società.
Per concludere vorrei fare un esempio.
Quando finalmente dopo oltre nove anni dalla emanazione della direttiva comunitaria sul solare fotovoltaico è stato pubblicato nel 2006 un decreto di attuazione nello spazio di pochi mesi 16.000 cittadini italiani hanno presentato domande per diventare autonomi dal monopolio elettrico ed anche percettori di una piccola rendita per l’energia in esubero immessa nella rete. Naturalmente, per il modo come il decreto era stato fatto (da Berlusconi) e per i blocchi burocratici interposti in ultima istanza dall’Enel, le domande non hanno potuto essere soddisfatte che in minima parte. Questi 16.000 rappresentano l’avanguardia di 8 milioni di cittadini italiani proprietari di case (la stragrande maggioranza di italiani vive in case di proprietà) che potenzialmente possono essere interessati alla trasformazione energetica (un terzo di tutti i consumi energetici italiani). Naturalmente questo discorso vale anche per l’eolico e per le altre energie rinnovabili.
Ma chi organizza questi bisogni e questi cittadini? Nel XIX e XX secolo le forze alternative della sinistra sono state in grado di costruire una fitta rete di sindacati di leghe e associazioni contadine, di cooperative e negli ultimi 50 anni anche di associazioni come l’Arci capaci di trasformare la società e la democrazia. Costruire a sinistra una nuova aggregata forza politica è tutt’altro che una ricongiunzione, pur necessaria, di esponenti politici ma deve porsi il problema anche di nuove forme di organizzazione che facciano pesare questa grande coscienza ambientalista nella trasformazione della società e dell’economia.