Quell’improbabile cellula dormiente

Chi non ricorda la storia ricorda forse quella parola: ferricianuro. E’ il composto chimico che sarebbe dovuto servire ad avvelenare le condotte dell’acqua dell’ambasciata americana di via Veneto. Un nome più spaventoso della sostanza, che probabilmente serviva solo a «sbianchettare» i permessi di soggiorno per falsificarli. Quei quattro chili di polvere rossastra, trovati dai carabinieri, trasformarono in pericolosi terroristi gli abitanti marocchini di un appartamento di Tor Bella Monaca, periferia di Roma. Era il febbraio del 2002, cinque mesi dopo l’11 settembre di New York. I marocchini sono risultati innocenti dopo oltre un anno tra carcere e arresti domiciliari. Insieme a loro sono stati assolti i componenti di altri due gruppi arrestati dai carabinieri negli stessi giorni, tre curdi iracheni e i responsabili della moschea «al Harmini» della stazione Termini: non si conoscevano tra loro ma sono finiti tutti nello stesso processo all’aula bunker di Rebibbia. Il pacco del ferricianuro in cima a una montagna di intercettazioni per lo più incomprensibili, parole che per i carabinieri erano state pronunciate «in pessimo italiano» e indicavano «armi» e «kalashnikov», ma per i periti della corte d’assise erano in arabo e in dialetto curdo e dicevano tutt’altro.
Bianca Stancanelli, inviata di Panorama, ha ricostruito la vicenda in un libro edito da Marsilio – Quindici terroristi innocenti. Come è finita la prima grande inchiesta sull’estremismo islamico in Italia (pp. 208, euro 12) – che sarà presentato domani alle 18 alla libreria Feltrinelli di piazza Colonna a Roma, con Khaled Fouad Allam e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. E’ un libro molto duro con gli investigatori, i servizi segreti e la magistratura, almeno quella inquirente, precisamente il pool antiterrorismo della procura di Roma del pm Franco Ionta. Verbali fasulli, confidenti e testimoni d’accusa improbabili e intercettazioni à la carte: ufficiali e sottufficiali dell’arma hanno fatto figure terribili davanti alla corte, rimproverati come ragazzini dal presidente Mario Lucio D’Andria.
L’autrice non nega o sottovaluta le minacce del terrorismo islamista, anzi teme che quell’indagine sbagliata possa aver favorito l’eclissi di personaggi più pericolosi. Stancanelli si concentra piuttosto sui profili delle persone coinvolte, sui drammi dell’immigrazione illegale ma anche di quella legale, e sugli errori e orrori degli investigatori. Ma la sua prospettiva non è nemmeno quella dell’analisi del comportamento degli apparati e del loro ruolo nel Mercato della paura, per dirla con il titolo del libro pubblicato da Einaudi dei giornalisti Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo.
Stancanelli mette tutti sullo stesso piano. Per esempio la polizia finisce sulla stessa graticola dei carabinieri solo perché anche la Digos aveva perquisito i due sospetti sulla base di una segnalazione del Sisde arrivata poi anche ai «cugini» dell’arma. Giudizio ingeneroso, perché i polizotti lasciarono subito perdere dopo aver trovato solo materiale che serviva alla contraffazione dei documenti, come probabilmente anche il ferricianuro trovato in seguito dai carabinieri. Noi del manifesto trattammo fin dall’inizio la «bufala» per quello che era, mentre la grande stampa strillava all’attentato al cianuro e ai kalashnikov in moschea. Del resto il presunto capocellula sarebbe stato Ahmed Naseer, pakistano titolare di un’agenzia di viaggi all’Esquilino e intestario del contratto d’affitto del locale arrangiato a moschea, noto nella sinistra romana e nelle associazioni degli immigrati e amico del nostro amico e compagno Dino Frisullo di Senzaconfine, scomparso un anno dopo gli arresti, che lo difese a spada tratta.
Molte altre inchieste senza senso sono passate sotto silenzio. Quelle che hanno coinvolto la stragrande maggioranza dei 203 «arrestati per terrorismo» nei cinque anni tra il 2001 e il 2006, sbandierati come un successo da Silvio Berlusconi. I condannati, peraltro non ancora definitivi, non arrivano a dieci.