E’ vero, vi è una storia delle lotte, dei movimenti, delle persone e una storia del potere. Su questo non vi è dubbio e Genova lo conferma. La storia del potere è spesso scritta per via giudiziaria. I pubblici ministeri che hanno accusato di devastazione e saccheggio 25 manifestanti sintetizzano bene nelle loro requisitorie questa pratica. Riscrivere, modificare, stravolgere ciò che è accaduto per tentare non solo di cambiarne il senso, ma anche per rimuovere quelle anomalie che rappresentano il segno tangibile della crisi di un sistema. Le roboanti parole, scelte con sapienza da questo o quel servitore dello Stato, pronunciate nelle aule di un tribunale, dovrebbero coprire quello che centinaia di migliaia di persone hanno vissuto, e che in milioni già conoscono. Quelle parole, diventeranno storia ufficiale quando saranno scritte nero su bianco, in calce a condanne ad anni di carcere per chi ha avuto la sfortuna di essere stato scelto come capro espiatorio e la colpa di essere stato a Genova il 19,20 e 21 luglio del 2001. L’archiviazione dell’omicidio di Carlo Giuliani, è stato il primo capitolo della storia di Genova, scritta per il potere dai tribunali. Tuttavia commetteremmo un grave errore a pensare che la questione si esaurisca così, in maniera semplificata Nella requisitoria e nella gestione del processo, traspare ben di più che la sola conferma di un vecchio assunto, con cui tutti i movimenti di lotta hanno avuto a che fare. Innanzitutto per un fatto molto semplice: la storia del potere e quella “sociale”, non viaggiano parallele, ma si scontrano, configgono. Ed è la forza con cui avviene questo impatto, che determina il risultato. Il secondo grave errore sarebbe pensare che anche la storia di movimento sia scritta nero su bianco. None così. Questa storia è viva dopo le giornate di Genova, nessuno di noi, di quelli che in maniere diverse hanno contribuito a costruire quella straordinaria insorgenza, ha saputo riprendere parola con forza. Alcuni perché hanno preferito tornare, o saltare, nel solco della “politica ufficiale”, nei parlamenti e nei partiti. Altri perché, a volte, la pratica dei movimenti, ti porta in strade nuove, difficili da sperimentare, piene di dubbi ed incertezze. In generale non siamo stati capaci di assumere i processi contro alcuni di noi come fatto politico fondamentale, e abbiamo troppo spesso permesso quindi, che la nostra storia fosse scritta da altri. Ma cosa significa riprendere la parola con forza? Crediamo che abbia poco a che fare con il semplice parlare, denunciare, testimoniare che è, certo, il minimo. È dalla nostra idea forza, quella di VìaTolemaide, che noi vogliamo contribuire a rimettere al centro ciò che Genova ci ha consegnato. Attorno alla moltitudine degli oltre ventimila di via Tolemaidee del Carlini, a ciò che ha generato l’attacco dei carabinieri, ruotano tutti i fatti del 20 di luglio, compreso l’omicidio di Carlo. Quella moltitudine aveva fatto una scelta precisa: disobbedire all’imposizione della zona rossa, che era il simbolo concreto di tutto il potere esercitato dal G8 in quei giorni. Questa scelta era stata resa pubblica. Ma aver trasformato il proprio obiettivo in uno spazio pubblico costituente, porta ad un’altra incompatibilità per lo stato, che poi i giudici nei tribunali tentano di criminalizzare: il consenso.
Un altro nodo, fondamentale, è ciò che è accaduto dopo l’attacco dei carabinieri. L’esercizio di un diritto di resistenza, spontaneo, diretto, diffuso. La disobbedienza non si è trasformata in un gioco di ruolo, appunto. Ci si è ritrovati a resistere, con ogni mezzo possibile, alla furia cieca e di annientamento, che nessuno aveva potuto prevedere in quei termini, che carabinieri e polizia hanno scaricato contro quel corteo. Questo è stato un passaggio naturale, ed è per questo che la resistenza di quel corteo, rivendicata collettivamente fino in fondo, è per lo stato, i tribunali e le istituzioni, difficile da digerire. E’ questo il nodo che si tenta di annullare con il processo di Genova. Perché parla agli altri movimenti, quelli di oggi e quelli di domani, e lo fa con speranza e determinazione, con rabbia e lucidità. A Genova con l’assunto: “In Vìa Tolemaide erano tutti violenti”, a Cosenza coll’imputazione di “associazione sovversiva composta da oltre ventimila aderenti”. Adesso rilanciamo e ci prendiamo un impegno: quello di organizzare, durante il ritiro in camera di consiglio dei giudici del processo di Genova, una mobilitazione. Iniziamo noi, con i nostri nomi e cognomi. Ma facciamo da subito appello a tutti, singoli e realtà collettive, perché aderiscano alle iniziative che si proporranno. Perché tutti i compagni processati a Genova siano liberi, perché la storia del potere non sia un ostacolo alla corsa di tutti, quelli che c’erano e quelli che
verranno,verso la libertà.
Con Carlo nel cuore.
Don Andrea Gallo; Valeria Cavagnetto; Vladia Ghillino;
Milena Zappon; Domenico Chiochetti; Simone Savona;
Luciano Bregoli; Luca Oddone; Paolo Languasco;
Matteo Jade; Luca Daminelli; Luca Casarini;
Tommaso Cacciari; Michele Valentini; Max Gallob; Vilma
Mazza; Duccio Bonechi; Federico Da Re; Cristian
Massimo; Donatello Baldo; Domenico Mucignat;
Gianmarco De Pieri; Manila Rizzi; Daniele Codelupi;
Claudio Sanità; Luca Corredini; Silvia Liscia;
Francesco Raparelli; Francesco Brancaccio;
Emiliano Viccaro; Luca Blasi; Antonio Musella