Quelle torture dall’Iraq a Bolzaneto

NELL’ITALIA che ha mandato i suoi uomini in Afghanistan meriterebbe un qualche interesse un documento segreto del ministro della Difesa americano che è stato reso pubblico il 31 marzo scorso e sul quale ha richiamato l’attenzione il Washington Post. Si tratta di un memorandum del 14 marzo 2003 del Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti sulle regole per condurre l’interrogatorio di prigionieri nemici da parte di personale militare nel corso di un conflitto armato . Il documento era la risposta a un’interrogazione presentata dal gen. William J. Haynes II, del Consiglio generale del Dipartimento della Difesa. Il documento è assai ampio e anche molto articolato, ma non assomiglia a quei testi che nel costume nostrano meritano simili aggettivi: questo per dire che se ne ricavano conclusioni piuttosto semplici e chiare. La questione in discussione è il valore di un principio fondamentale della Costituzione americana, quello per cui nessuna persona può essere privata della libertà, dei beni e della vita senza un giusto processo. Le risposte sono:
a) il quinto e l’ottavo emendamento della Costituzione non si applicano agli interrogatori a combattenti nemici fuori dai confini degli Usa.
b) Il documento ufficiale del 1988 delle Nazioni Unite contro la tortura e le punizioni crudeli e disumane fu accolto dall’amministrazione Reagan con una specifica interpretazione limitativa: la tortura che l’Onu definiva come atto capace di causare grave sofferenza {«severe pain») fu definita come atto di «estremamente crudele e disumana natura» {«extremely cru-deland inhuman nature»).
“W”n esso, per esempio, si escluse che potesse rientrare la brutalità poliziesca [«police brutality»). E l’amministrazione Bush ha confermato questa interpretazione. Inoltre si ricorda che, in base ai principi del diritto internazionale, una nazione non può essere assoggettata senza suo consenso ai limiti imposti da una convenzione. C’è poi un principio fondamentale fra tutti: tra i diritti di un popolo quello primario è il diritto-dovere all’autodifesa. E se per difendersi c’è bisogno di metodi speciali di interrogazione dei prigionieri e dei nemici, va da sé che quei metodi sono legali anche se violano un documento dell’Onu sulla tortura.
Certo, qualche coscienza si può sentire offesa e perplessa. Ma anche la coscienza ha una storia e un’evoluzione. La Suprema Corte sottolinea che non si deve confondere la «coscienza contemporanea» col sentimentalismo privato o col fastidioso eccesso di scrupoli (ma l’inglese è più espressivo: «fasti-dious squeamìshness or private senti-mentalism»).
Il documento dovrà essere letto e meditato attentamente perché i temi che affronta riguardano il presente e il futuro dei diritti umani in un contesto in cui lo stato di guerra è mutato radicalmente. Il documento sottolinea, ad esempio, che ipoteri del Presidente come comandante in capo in caso di guerra non possono essere misurati sui limiti che quello stesso presidente deve accettare come capo dell’Esecutivo nei confronti delle leggi civili. E qui la storia entra a grandi ondate. Tra i documenti di prova si citano quelli dei
conflitti dell’800, uno del 1865 (guerra civile americana) e uno del 1873 (uccisione di prigionieri indiani). Da qui si ricava che i soldati dell’esercito regolare hanno licenza legale di privare altri uomini della libertà e della vita e che nessun esercito è mai stato o può mai essere considerato come un gruppo di volontari agli ordini di una magistratura civile.
Fin qui l’Ottocento della guerra civile e della conquista dei territori dei nativi americani. Altri documenti del secolo XXparlano una lingua nuova e diversa, quella della potenza imperiale americana: una sentenza dellaCorte Suprema del 1990 ricorda che gli Stati Uniti impiegano di frequente le forze armate al di fuori dei confini del Paese per proteggere cittadini americani o la sicurezza della Nazione e che i diritti costituzionali non si applicano a non cittadini o al di fuori del territorio americano. La conclusione è la stessa ma l’ambito è diverso e il suono è diversamente minaccioso. La bandiera degli Usa, come
ha spiegato benissimo Arnaldo Nesti in un suo libro, è l’unico simbolo nazionale che vive di vita propria, cresce col tempo e col tempo aggiunge stelle e strisce; ma mentre quella bandiera cresce, con un movimento parallelo e opposto sembrano restringersi i sacri principi di libertà e di sicurezza individuale portati alla vittoria dalla rivoluzione americana. Non saranno gli europei a meravigliarsi. L’ideologia dei supremi interessi della nazione è un parto avvelenato della storia europea. Qui la sua versione formale e giuridica fa riferimento ai poteri supremi del Presidente come comandante supremo {«Commander in Chiefand Chief Executive») e ai casi di guerra e di politica internazionale. E nella guerra contro Al Qaeda e i suoi alleati le leggi non si applicano agli interrogatori dei prigionieri. Il dossier entrerà di diritto nella lunga storia delle discussioni su leggi di guerra e di pace. Oggi il lettore italiano sobbalza quando incontra tra le citazioni su cui si appoggia il dossier anche un trattato dell’esule religioso italiano del ,’500 Alberico Gentili che dice, in sostanza, che unmalfattorenon può godere dei privilegi della legge di cui è nemico. E gli verrebbe voglia di ribattere che il linguaggio politico ha fatto qualche passo dai tempi di Alberico Gentili e che in un globo terrestre sempre più stretto la protezione della legge non è più considerato un privilegio ma un diritto universale di ogni essere umano.
Ma il problema che si pone davanti a un così preciso e nitido documento è un altro: è ancora vero che l’obbedienzanonèpiùuna virtù, come scrisse don Lorenzo Milani in polemica coi cappellani militari italiani? Perché una cosa è certa: se il soldato deve obbedire al comandante in capo che gli ordina di torturare iprigiomeri allorala questione della sua coscienza balza in primo piano. Abbiamo ancora il diritto di criticare la soldatessa di Abu Ghraib che si divertiva a infliggere torture e umiliazioni ai prigionieri? E ancora: abbiamo il diritto di condannare i nazisti che si giustificarono al processo di Norimberga in nome dell’obbedienza dovuta ai comandi di Hitler? Restapoi, per noi italiani, figli di una cultura diversa e ben poco militaresca, la curiosità di sapere se anche nel Caso delle torture dì Bolzaneto ci fu un ordine scritto, una legittimazione dall’alto o se bastò la presenza di un ministro nella sala operativa della Questura a dare il senso dell’impunità ai torturatori.
Non è una domanda di curiosità accademica: i tempi non sono quelli di un mondo tranquillo o di un Paese privo di tensioni sociali. Nelle campagne elettorali parallele—quella statunitense e quella italiana le questioni di politica internazionale e quelle dei diritti umani sembrano circondate da una identica cortina di silenzio. Quanto a noi, se non fosse per la vittoria della candidatura di Milano per l’Expo 2015 l’Italia sembrerebbe un Paese sordo e chiuso al resto del mondo. E se non fosse per le sciagurate ordinanze di qualche assessore, non ci accorgeremmo nemmeno che esiste il problema di un mondo che viene da fuori, che si riversa sulle nostre strade e che cerca di entrare nella sfera luminosa dei diritti individuali.