Quella prima strage dei neofascisti

Ho letto con interesse Fascisti senza Mussolini di Giuseppe Parlato (Il Mulino), di cui ha scritto la Repubblica giovedì 9 novembre. Alle condivisibili obiezioni mosse da Simonetta Fiori all´autore – sia sulla benevola lettura della continuità tra fascismo e postfascismo che è invece all´origine dello stragismo nero e della mancata crescita democratica del nostro paese, sia sull´intonazione assolutoria verso responsabili e complici di crimini nazifascisti – vorrei aggiungere elementi significativi sul rapporto tra i neofascisti e il bandito Giuliano, tema da me trattato in diversi saggi e superficialmente liquidato da Parlato nel suo Fascisti senza Mussolini. Intanto una considerazione: solo oggi il professor Parlato riconosce una relazione che per tanti anni è stata negata. «Nell´ambito dei rapporti con la Sicilia – scrive l´autore – i fascisti clandestini ebbero un contatto particolare, quello con uomini appartenenti alla banda di Salvatore Giuliano». Mi preme però ricordare che le frequentazioni tra i commandos di Salò e Giuliano non avvengono in modo casuale solo a Napoli nell´autunno ‘44.
I faldoni del controspionaggio di James Angleton conservati a Washington (‘44-´47) ci raccontano una storia più complessa. Ad esempio, nel marzo ‘45 nei pressi di Pistoia alcuni soldati americani acciuffano due sabotatori della Decima Mas, Giovanni Tarroni e Pasquale Sidari. È un giorno fortunato per la pattuglia Usa, perché i due agenti che cercano di passare la Linea Gotica finiscono per confessare molte cose rilevanti. Tanto che nella rete dei servizi alleati cadono decine di salotini inviati nell´Italia liberata a compiere sabotaggi. Essi fanno parte dei gruppi addestrati dalla Decima alla “guerra segreta oltre le linee”. I due confessano di essere stati in missione al Sud dal settembre ‘44 e che il 15 dicembre, a Palermo, hanno incontrato due loro commilitoni, i marò Giovanni e Giuseppe Console.
A Partinico, dall´estate ‘44, i due fratelli Console ospitano un altro membro dei commandos, il milanese Dante Magistrelli. I tre hanno una missione speciale: fomentare l´eversione nazifascista nell´isola. Turiddu Giuliano casca a pennello e il suo nome ricorre nei rapporti Sis (Servizio informazioni e sicurezza) anche negli anni successivi. «Il Macri (Movimento anticomunista repubblicano italiano) – scrive un funzionario del Sis il 31 dicembre 1946 – è organizzato militarmente, forte di undicimila uomini tratti dai quadri dei vari partiti di centrodestra purché decisamente anticomunisti. […] Sono in corso trattative […] con i capi dell´Evis (nda Esercito Volontari per l´Indipendenza della Sicilia) e con Giuliano». In un dispaccio del 1° novembre 1946, leggiamo che «ferve l´opera di riorganizzazione [del clandestinismo fascista, nda] soprattutto in Sicilia, dove non si disdegnano i contatti diretti neppure con la banda Giuliano». E il 26 novembre 1946, «in tutta la provincia di Potenza […] esiste una forte organizzazione monarchica clandestina a carattere anche militare. Il presidente provinciale è tal Cossidente Michele, medaglia d´oro. […] Ha rapporti con la banda Giuliano».
Quel che sorprende è che di Magistrelli, Sidari, Tarroni e dei fratelli Console non c´è traccia nel volume di Parlato. Come di altre carte che al bandito e ai vari terroristi della sua stessa risma fanno riferimento. Non c´è traccia di Giuseppe Sapienza da Montelepre, uomo della Decima, addestrato dalle SS di Verona, spedito dritto dritto in Sicilia per unirsi a Giuliano «head of a fascist band in the Palermo province» (così lo definiscono i servizi americani). Non si parla neppure di Salvatore Ferreri, detto Fra´ Diavolo, membro di spicco della banda: alla fine del ‘44 opera tra Roma e Napoli alla testa di fascisti armati agli ordini di Tommaso David, capo del gruppo di spionaggio “Volpi Argentate” (Milano). Sapienza, Ferreri e David – nel volume di Parlato – sembrano svanire nel nulla. Richiamo l´attenzione in particolare su Ferreri, che ritroveremo come autore materiale della strage di Portella della Ginestra il primo maggio del 1947.
Potrei citare altre centinaia di documenti Sis, ritrovati da Aldo Giannuli nel 1996 in un deposito di via Appia, a Roma. Sono carte del ‘44-´47 che Parlato farebbe bene a leggere, soprattutto per le connessioni inquietanti tra Angleton e l´arcipelago neofascista. Oppure potrebbe dare un´occhiata a un rapporto del Sis del 25 giugno ‘47. «La banda Giuliano – scrive un agente – è da ritenersi, fin dall´epoca delle nostre prime segnalazioni, a completa disposizione delle formazioni nere. […] Al bandito Giuliano doveva essere demandato il compito di provvedere all´evasione di Borghese, relegato a Procida, perché soltanto l´ex capo della Decima Mas era ritenuto in grado di assumere militarmente il rango, per l´influenza esercitata, di capo militare delle formazioni clandestine dell´isola. […] Negli ambienti dei Far [Fasci di azione rivoluzionaria, guidati da Pino Romualdi, nda], Nuovo Comando Generale, si ammette che l´azione della banda Giuliano è in relazione con l´ordine testé impartito di ‘accelerare i tempi´». Il documento riguarda due eventi drammatici che peseranno a lungo nella storia della Repubblica: la strage di Portella della Ginestra e gli assalti contro le Camere del Lavoro della provincia di Palermo (il 22 giugno del ‘47).
È stupefacente perciò che Parlato affermi: «Se il quadro della presenza fascista al Sud e […] i rapporti con l´Oss sono chiari, ciò che non è chiaro è l´estensione di tali rapporti fino al ‘47 e cioè fino alla strage di Portella della Ginestra». All´autore non dovrebbe sfuggire che in un dispaccio del Sis dell´ottobre ‘46 si afferma che i colonnelli Laderchi e Callegarini, l´ammiraglio Maugeri e il colonnello Carlo Resio «sono in contatto con i fascisti monarchici» e che «il movimento […] prepara una rivolta armata nel Paese». Si dà il caso che sia proprio Resio a salvare la pelle a Borghese a Milano il 10 maggio 1945 e che da allora il colonnello sia a totale servizio di Angleton nella sede romana del controspionaggio Usa. Se poi Parlato consulta i documenti del Sis dell´estate ‘47, scopre che «[Giovanni] Messe controlla l´Upa [Unione patriottica anticomunista, nda] per mezzo di un centro politico di informazioni, la cui direzione è demandata ai CC del Sim, notoriamente fedeli al maresciallo» e che «i Far continuano a controllare tutte le formazioni clandestine, anche l´Upa e il gruppo carabinieri, in seno a quali elementi fidati lavorano agli effetti della realizzazione del colpo di Stato». In sostanza: emerge in modo chiaro la continuità dei processi eversivi che coinvolgevano organizzazioni come l´Upa e formazioni paramilitari nere, con il sostegno di alcuni ufficiali dei carabinieri. In conclusione, al professore mi permetto di rivolgere un solo consiglio: frequentare più gli archivi e meno i convegni con gli attempati nostalgici di Salò. Come quello da lui organizzato nel maggio 2005 nella ridente cittadina.