Quella lunga notte a Mirafiori

La straordinaria mobilitazione dei metalmeccanici è ancora viva nei nostri ricordi. In tutte le regioni d’Italia le piazze si sono riempite di metalmeccanici in sciopero e al loro fianco lavoratrici e lavoratori di tutte le altre categorie, precari, giovani, studenti, uomini e donne che si sono mobilitati per la dignità del lavoro e per difendere la democrazia.

Lo sciopero dei metalmeccanici, si è trasformato in una giornata di lotta capace di parlare a tutto il mondo del lavoro e all’intera società. Non era scontato. La memoria va a ritroso, al giugno 2010, a Pomigliano, quando la Fiom prima, e poi oltre il 40% degli operai, dissero “no” al primo dei tanti ricatti di Marchionne. In quel frangente non tutti hanno saputo cogliere la portata generale di quel rifiuto.
Il difetto principale di gran parte delle forze politiche – mi riferisco all’alveo del centrosinistra – riguarda l’analisi. Il timore di schierarsi e l’ossessione dell’equidistanza tra lavoro e impresa ha portato a rimuovere dalla discussione il drammatico squilibrio nei rapporti di forza tra capitale e lavoro. Si è definito “accordo” un atto unilaterale dove è evidente il peggioramento delle condizioni di lavoro. Non è nemmeno stata fatta una seria e autonoma valutazione del piano industriale per provare a capire le prospettive della proposta “prendere o lasciare” di Fiat.
Eppure era chiaro che quello dell’amministratore delegato della Fiat non era semplicemente un modello produttivo particolarmente aggressivo e ingiusto, ma un progetto reazionario per tutta la società italiana.
L’amministratore delegato della Fiat ha messo in moto la sua macchina livorosa e distruttrice di diritti e tutele, cosi dopo Pomigliano è arrivato l’altro ricatto – Mirafiori – potendo contare sul terreno fertile preparato da anni di governi di Berlusconi e di resa della sinistra moderata al liberismo.
La crisi è usata dalle destre e dal padronato per spostare ulteriormente i rapporti di forza a loro favore; a pagare devono essere i soliti noti, lavoratori, giovani, pensionati. In questo modo loro possano conservare tutto.
Di fronte a questa insidiosa offensiva si poteva temere che paura e rassegnazione prendessero il sopravvento, invece non è stato così. La lunga notte di Mirafiori, con quei 2300 “no”, ha un preciso significato: ci parla degli operai e della loro grande dignità. Hanno detto no al ricatto tra diritti e lavoro e lo hanno fatto assieme, dal punto di vista ideale, a milioni di persone disposte a lottare per difendere le loro libertà, il contratto nazionale, lo stato sociale.
La portata dello scontro è sotto gli occhi di tutti noi. È il valore del lavoro che è attaccato ferocemente con l’obiettivo di rendere le lavoratrici e i lavoratori, privati e pubblici, totalmente subalterni alle scelte datoriali.
Pomigliano, Mirafiori, l’accordo separato nel Pubblico Impiego, fino all’intenzione del governo di modificare l’art. 41 della Costituzione in materia di libertà dell’iniziativa economica privata, cancellando ogni vincolo con l’utilità sociale, ci dicono che lo scontro è generale e che non possiamo permetterci il lusso di disperdere un entusiasmo e una rinnovata motivazione e disponibilità alla lotta che la vicenda dei metalmeccanici ha riacceso in tante e tanti lavoratori.
Il mondo del lavoro ha saputo nei momenti più difficili della storia del paese dare un contributo fondamentale a difesa della democrazia, oltre che essere artefice principale delle conquiste sociali. Ebbene, oggi stiamo proprio attraversando uno di quei gravi momenti. Perciò la proclamazione dello sciopero generale di tutte le categorie è la risposta adeguata all’arroganza del padronato e del governo. Guidato da un presidente del Consiglio il cui indegno comportamento rappresenta il degno contraltare dell’incapacità politica.