Quella frase di Chavez

Perfino il Berlusconi al tramonto non gioca la carta disperata che trasforma l’Olocausto in uno spot. Per il momento. Orribile spot che riduce l’antisemitismo a bandierina da sventolare sui maldipancia della politica. Ma dall’altra parte del mare qualcuno ci sta provando. L’Olocausto è un paesaggio desolato le cui ombre non spariranno e il dolore segnerà all’infinito la ragione dell’umanità. Milioni di innocenti sciolti nei forni di Hitler e gli scheletri dei sopravvissuti aggrappati ai recinti dei campi di sterminio. Memoria che accompagnerà le generazioni invocando rispetto e rimorso per l’indifferenza colpevole dei padri. Eppure c’è chi ha avuto la delicatezza di arruolare questa sofferenza per agitare la polemica contro un presidente che si vorrebbe rovesciare. Audience assicurata, naturalmente, ma è il tipo di clamore che nell’incoscienza della finzione può risvegliare la peste dell’antisemitismo.
Odiato dal 35 per cento e avvolto dall’entusiasmo del 63 per cento dei venezuelani, di Chavez si possono dire tante cose. Dittatore. Populista vanitoso. Un pericolo per la democrazia. Nemico del liberismo. Leader di un popolo affamato. Governante intestardito nell’utopia del ridare dignità a un continente ricco ma sfinito dal saccheggio di vecchi e nuovi colonialismi. Parla troppo. Mantiene le promesse. Ha ridotto il Venezuela a una caserma castrista. Ha ridato speranza ad un Paese fino a ieri al guinzaglio dei soliti interessi. Una voce contro l’altra, a volte polemiche furibonde. Ma chi deve votarlo o non votarlo ha la possibilità di confrontarsi e discutere. Giornali e Tv sono nelle mani degli editori impegnati a disfarsi del presidente sotto la tutela degli angeli custodi di Bush. Ogni elettore è in grado decidere o di non andare a votare con tutte le carte in tavola. Ma giocare con l’Olocausto resta un’infamia difficile da perdonare.
Ecco cosa è successo. Nei primi giorni di novembre Repubblica pubblica cinque righe con titolino sperduto nel mare di altre parole: gli ebrei venezuelani lasciano Caracas sentendosi perseguitati. L’allarme scuote le comunità americane ed italiane. Provo ad informarmi. Ritrovo tra i messaggi del computer la notizia che sta facendo il giro del mondo, commentata, enfatizzata. Al telefono una sociologa agnostica e un professore credente, entrambi ebrei, rispondono da Caracas cadendo dalle nuvole. Negli anni Novanta la crisi ha sconvolto l’economia e i partiti del Paese, anticipando gli scricchiolii del crollo argentino e provocando la migrazione di imprenditori e famiglie un tempo agiate. Cercano fortuna altrove. Fra loro – è vero – qualche ebreo. Ma non è la religione a decidere. Scappano cattolici, protestanti e chi non crede in niente. Scappano signori dalle tasche mezze vuote, non perché si sentano perseguitati per pregare in modo diverso; stanno inseguendo il loro sogno americano che in Venezuela impallidisce per corruzione e malconduzione dei due partiti da 30 anni al potere: socialdemocratico e socialcristiano. Capire se c’é persecuzione non è semplice. Dopo Natale l’accusa diventa inquietante. La notte della vigilia, il Chavez che parla cinque ore alla Tv di Alò Presidente, avrebbe precisato «inequivocabilmente il suo antisemitismo». Possibile? Le Monde, Liberation, Wall Street Journal confermano. Shimon Samuel e Sergio Winder, rappresentati del Centro Wiesenthal per l’America Latina, con sede a Buenos Aires, raccolgono inconsapevolmente l’allarme divulgato da Caracas. Nel ricordare la natività in un posto dove sopravvivono i senza niente, Chavez avrebbe detto: «Stamattina mi è arrivato un rapporto dell’Onu sulla situazione della povertà nel mondo». Elenca i disastri del sottosviluppo. Racconta che il sogno di Bolivar è finito nelle mani di chi affama milioni di latinoamericani. E aggiunge «Il mondo ha cibo, acqua e risorse per tutti, ma una minoranza che discende da chi ha crocifisso Cristo si è impossessata delle ricchezze». La pioggia di messaggi allarmati raggiunge i computer di ogni continente e il Centro Wiesenthal argentino ne diventa portavoce: Chavez ripropone l’antisemitismo come ricetta per combattere la povertà. La risposta del governo di Caracas è inspiegabilmente burocratica. Laconicità che fa crescere il sospetto: «Riascoltate i nastri della trasmissione e capirete che il presidente non ha pronunciato questa frase». Punto e basta. Ha ragione chi specula o chi si difende? Da Caracas risponde Ernesto Villegas, giornalista molto conosciuto e molto rispettato. Per ciò che scrive, soprattutto per il programma televisivo En Confianza, in confidenza, nel quale ogni sera intervista con secca professionalità i protagonisti dell’avvenimento del giorno. Specie di Biagi venezuelano. Per niente amico di Chavez, fa sapere: «Questa storia delle persecuzione degli ebrei da parte del governo è un’idiozia di chi vuol polemizzare sull’amicizia di Chavez coi Paesi arabi». Chavez sta disegnando un’internazionale del petrolio da sottrarre all’influenza Usa, e il Venezuela acrobaticamente entra come osservatore nella Lega Araba e patteggia con l’Iran assieme a Russia e Cina. «Non ho mai sentito amici lamentarsi, non ricordo una sola manifestazione contro i 20 mila ebrei che vivono in Venezuela dove l’antisemitismo è forse l’unico incubo che ci è evitato. Ricordo solo di aver intravisto, durante una marcia contro la guerra in Iraq, un cartello che polemizzava con Sharon e una bandiera di Israele bruciata assieme alla bandiera americana». Villegas ne è sicuro, ma è la sicurezza di un giornalista non ebreo, quindi non coinvolto nell’angoscia. Limita l’isterismo a qualche isterico pacifista isolato. A poco a poco vien fuori la verità. E la Comunità Ebraica prende le distanze dal Centro Wiesenthal: «La frase è stata citata strumentalmente in modo scorretto». Si uniscono alla protesta le due più importanti associazioni legate al Comitato e al Congresso ebreo-americano degli Stati Uniti. La precisazione viene pubblicata da Forward, settimanale della Comunità di New York. Ecco come è stato manipolato il discorso. Con l’accento messianico che gli appartiene, Chavez ricorda la morte di Cristo: «I discendenti della minoranza che lo hanno crocifisso si sono impadroniti delle ricchezze del mondo». Questa la versione diffusa per suscitare scandalo. Gravissima e pericolosa. Ma riascoltando la registrazione ci si accorge di un “piccolo” errore. Solo un ricamo che ricuce le parole di discorsi lontani. Secondo Chavez, chi si è impossessato delle ricchezze del mondo sono «i discendenti di coloro che hanno crocifisso Bolivar, lontano dalla sua patria, a Santa Marta in Colombia», dove il Libertador era braccato dai generali che l’avevano tradito nel nome degli spagnoli. Muore quasi clandestino. «Ci pare evidente», sottolineano le associazioni ebreo-americane che «la minoranza la quale si è impossessata delle ricchezze del mondo» non è riferita agli ebrei ma «all’oligarchia bianca». Caso chiuso? Neanche per idea. Bisogna battere il ferro caldo. Mentre leggo le precisazioni delle comunità pubblicate dal Monde e altri giornali, continua la pioggia dei messaggi. Ieri mattina, domenica 22 gennaio, El Herald di Miami, sentinella degli ultras della destra della Florida, rilanciava la notizia: «Gli intellettuali denunciano Chavez per discorso antisemita». Un mese dopo il blog è più vivo che mai. E i blog sono tanti. Foto di uno striscione appeso alle spalle di passanti impegnati a chiacchierare sulle panchine di un giardino: «No al terrorismo dei comandos isreaeliti in Venezuela». E un attimo dopo arriva l’omelia di Rosalio Castillo Lara, cardinale emerito di Caracas, tra lui e Chavez scintille dal primo giorno: «Il governo eletto sette anni fa ha smarrito il suo cammino democratico e presenta segni di dittatura». Batti e ribatti. Distribuzione capillare, postini molto accurati: testo spagnolo tradotto in italiano. Chissà perché Barbara Bessone, italica pasionaria dei messaggi, dimentica la replica immediata della Conferenza Episcopale venezuelana. Monsignor Ubaldo Santana ne è il presidente. «Il cardinale ha diritto ad esprimere le proprie opinioni e come ogni altro cittadino può divulgare il suo giudizio personale mentre gode la meritata pensione. Ma non appartiene ormai alla Conferenza Episcopale e queste parole non possono essere considerate espressione della volontà dei vescovi. Insomma, non ha parlato a nostro nome».
Allora perché montare un orribile falso contro Chavez, arruolando un gruppo di intellettuali i quali pagano “di tasca loro” una pagina del Nacional (giornale, come tutti, avverso al presidente ) nella quale si ammorbidiscono le accuse di antisemitismo parlando solo di «allusioni piuttosto chiare», ma ribadendo che con Chavez è ora di finirla: perché?
Fra tre giorni comincia il Forum Sociale Mondiale di Caracas. Indigeni, diseredati, soprattutto i giovani di un’America Latina che sta cambiando bandiera, arrivano per ascoltarlo. Folle enormi, segnate da drammi e rabbie. Come è successo a Porto Alegre con Lula e a Mar del Plata con Chavez e Morales, il rimbombo animerà il continente. Un pericolo da disattivare con l’insulto più atroce: antisemitismo. Ricorda un trucco dell’Europa di 30 anni fa. La famiglia del francese Giscard d’Estaing era diventata socia della più importante miniera d’uranio dell’Africa nera; socia del presidente centroafricano Bokassa. Ma Bokassa, matto per sifilide, diventava ingombrante. Abbraccia in pubblico Giscard: «Ecco il mio cugino preferito». Si incorona imperatore. Gli esperti del deuxième bureau, servizi segreti, hanno un’idea per liberarsene senza ucciderlo: lo accusano d’essere cannibale. Liquidato per sempre quando l’era internet era ancora lontana. Oggi è più facile, i blog galleggiano. E il Chavez antisemita riaffiorerà appena serve metterlo in cattiva luce riesumando le verità dimezzate di questi giorni.
Infastidisce ciò che Chavez annuncerà al World Social Forum: il petrolio del Venezuela sarà venduto con lo sconto del 40 per cento a tutti i paesi in difficoltà nel continente. Con Brasile e Argentina, Caracas produrrà e distribuirà gratuitamente farmaci anti Aids. Oleodotto e gasdotto lunghi 10 mila chilometri uniranno Venezuela, Brasile, Bolivia e Buenos Aires assicurando interscambio e indipendenza energetica che taglia fuori le multinazionali. Il terremoto economico rafforza il Mercosur e permette a Morales di far respirare la Bolivia. Sarà vero se le promesse scendono da una specie di Eichmann travestito da presidente? A proposito dello striscione disteso nei giardini di Caracas: fa venire in mente lo striscione apparso una domenica in piazza San Pietro sotto la finestra di Giovanni Paolo II. Il giorno dopo il Papa doveva ricevere Fidel Castro. Piove a dirotto, pochi fedeli: tre pellegrinaggi diocesani da Puglia, Piemonte e Insbruck. Spuntano da sotto gli archi quattro ragazzi tirando uno striscione. Parole di fuoco: «Santità, non riceva l’Anticristo – I perseguitati cubani». Un operatore ha qualche problema a filmare: l’acqua appanna l’obiettivo: «E sbrigate, che ce bagnàmo. Te se’ rincoglionito?». Strani habaneri dall’accento romano. Due ore dopo il Tg2 dà grande rilievo all’avvenimento. «Ecco i profughi di Castro accorsi a Roma per contestarlo. Protestano prima della benedizione dell’Angelus: non vogliono che il Pontefice riceva chi li ha costretti all’esilio». Primi piani di facce un po’ fuori luogo: ragazze in costume tirolese, occhi mediterranei, il profilo scolpito dei piemontesi. «Povera gente che sfida la pioggia per far sapere a Giovanni Paolo II quale dolore li ha spinti fin qui». Direttore del Tg2, 1997: Clemente Mimun