L’esercito israeliano ha cominciato a spianare una fascia di terreno di un chilometro di profondità sul versante libanese del confine distruggendo case, campi, qualunque cosa, mentre il ministro della difesa il laburista Amir Peretz ha dichiarato che Israele vuole tornare a controllare una «fascia di sicurezza» all’interno del Libano. Per realizzarla l’esercito di Tel Aviv sta già procedendo alla distruzione dei villaggi al di là del confine sbriciolandoli con l’artiglieria, gli elicotteri e le bombe degli F16.
Drammatiche le notizie sulle vittime civili dei bombardamenti, i morti accertati sarebbero centinaia, ma molti corpi sarebbero ancora sotto le macerie, i profughi oltre mezzo milione (i dati sono delle Nazioni unite).
E’ una vera e propria guerra, quella contro la popolazione sciita delle zone montuose del sud del Libano, le stesse zone che Israele ha occupato dal ’78 al 2000 prima di essere costretto al ritiro dalla resistenza sciita degli Hezbollah. Un movimento che da allora continua la sua lotta contro l’esercito israeliano per la liberazione delle fattorie di Sheba, enclave libanese alle pendici del monte Hermon, ma anche del Golan e dei territori occupati di Palestina.
L’intervento israeliano nel sud del Libano, giustificato ora con la presenza della resistenza sciita libanese degli Hezbollah , in realtà è antecedente non solo alla nascita di questa organizzazione ma anche allo stesso stato di Israele. Il sud del Libano ed in particolare le colline nell’entroterra di Tiro, il Jebel Amel, grazie alla loro posizione strategica e alla ricchezza d’acqua (i fiumi Litani, Hasbani, Wazani, e Awali) sono sempre state nel mirino dei dirigenti israeliani: Theodor Hertzl sosteneva la necessità di questa regione per lo sviluppo del nuovo stato ebraico mentre altri importanti esponenti del movimento, come David Ben Gurion, Yithak Ben Zvi, o Chaim Weizman ritenevano che il monte Libano dovesse essere la frontiera nord di Israele. A tal fine lo stesso Weizman scrisse nel 1919 al premier britannico Loyd George chiedendo che la frontiera nord della Palestina comprendesse al suo interno la valle del fiume Litani così come il fianco ovest e sud del monte Hermon.
Ma lo shock che avrebbe portato ad una permanente ostilità delle popolazioni del jebel Amel nei confronti delle pretese e delle minacce israeliane sarebbe venuto con la guerra del 1948 quando l’Haganah occupò con un colpo di mano sette villaggi libanesi della zona massacrando a Salha e a Houla 174 contadini disarmati. Il cessate il fuoco del 1949 non portò certo alla pace che gli abitanti di queste colline e altopiani coltivati a tabacco avrebbero sperato: dal 1949 al 1964 il Libano subì 140 aggressioni israeliane e dal 1968 al ’74 oltre 3.000 attacchi dell’esercito di Tel Aviv. Senza contare che nel corso della guerra del 1967, Israele violando la neutralità del Libano, occupò con un colpo di mano l’area delle fattorie di Sheba e alcune zone del fianco occidentale e meridionale del monte Hermon.
Dopo la cacciata del movimento di liberazione palestinese dalla Giordania con i massacri del settembre nero del 1970 e il suo trasferimento nella repubblica dei cedri, il sud Libano tornò di nuovo in prima linea e pagò un prezzo altissimo per le rappresaglie israeliane contro la presenza dell’Olp. Nel corso della guerra civile libanese (1975-90) i dirigenti di Tel Aviv operarono per insediare a Beirut un governo di destra cristiano maronita loro alleato e per annettersi la zona a sud del fiume Litani. Un pensiero che probabilmente fu alla base del progetto di Shimon Peres, era l’anno 1976, di creare una milizia fantoccio di criminali comuni e torturatori politici sotto la guida di un maggiore libanese rinnegato, Saad Haddad. Era l’Armata del Libano Libero, e aveva il compito di controllare la «fascia di sicurezza» a ridosso del confine che sarebbe poi stata allargata a 800 chilometri quadrati due anni dopo il 15 marzo del 1978. Quel giorno scattò la prima invasione in grande stile del Libano da parte di Israele, la «Operazione Litani», che provocò la morte di 1.186 civili, 285.000 profughi, 82 villaggi disastrati e sei completamente rasi al suolo.
La successiva invasione del 1982, «Operazione Pace in Galilea» con oltre 20.000 morti, 32.00 feriti, 2206 invalidi permanenti, 500.000 profughi, la distruzione dei campi palestinesi, l’assedio di Beirut, i massacri dell’esercito israeliano e dei suoi alleati locali, avrebbero si portato all’uscita dal Libano dei combattenti palestinesi ma allo stesso tempo alla nascita di un nuovo e ancora più incisivo movimento di resistenza contro l’occupazione israeliana, gli Hezbollah, che sarebbe riuscito a costringere al ritiro il potente esercito di Tel Aviv nel maggio del 2000. Un successo militare, questo, il cui segreto sta soprattutto nel fatto che i suoi militanti non sono altro che i figli, i nipoti o anche i padri dei contadini del Jebel Amel.