Non comincia affatto bene la discussione sulla Finanziaria. A dimostrare la volontà di colpire il lavoro dipendente che purtroppo anima ampi settori della maggioranza e del governo è in particolare il tormentone sulle pensioni, tornato con prepotenza al centro del dibattito politico. Dopo la minaccia (per nulla rientrata) di ridurre le prestazioni del 6-7% per effetto della revisione dei coefficienti di calcolo, è ora il turno dello scalone previsto nella «riforma» Maroni. E qui c’è di che rimanere a dir poco sbalorditi.
Limitiamoci agli aspetti più rilevanti, cominciando da alcune considerazioni di merito. L’on. Fassino, il vice-premier Rutelli e i ministri Padoa-Schioppa e Damiano vanno ripetendo con mirabile pervicacia che lo scalone va «addolcito» (cioè mantenuto, con qualche modifica). Sfoggiando il piglio decisionista dei suoi momenti migliori, il segretario dei Ds ricorre persino a toni minacciosi. «O rimoduliamo lo scalone o, se non ci riusciamo, dobbiamo tenercelo». Ma perché? Qual è la ragione di questa trovata?
Risposta: i conti in rosso dell’Inps (inesistenti) e l’allungamento della vita. Che da una parte permette di prolungare di qualche anno la durata della vita lavorativa, dall’altra rischia – restando le cose come stanno – di determinare gravi squilibri al sistema. A dar man forte al ragionamento ci ha pensato da ultimo il Corriere della sera, pubblicando una tabella che mostra le previsioni di aumento dell’età media di qui al 2026 e denunciando l’«insensata» corsa alla pensione «in una società di centenari».
È la ben nota faccenda della «gobba». Ma – ammesso e non concesso che si tratti di un discorso serio – la riforma Dini ha già fatto ampiamente i conti con questa storia. Quanto all’Inps, anche i bambini sanno che i conti della previdenza sono in forte attivo e che il problema sta nell’impropria confluenza della spesa assistenzale. Non solo. I giornali sparano in questi giorni cifre terroristiche di nuovi accessi alle pensioni di anzianità (67mila circa). Ma dimenticano di dire che questa corsa alle pensioni – prevedibile conseguenza del terrorismo governativo – è più che compensata dall’iscrizione all’Inps di oltre 700mila nuovi lavoratori migranti.
Ma il punto è un altro. Tutta questa gazzarra evita con cura di chiamare in causa l’unico argomento pertinente in tema di pensioni: il costante aumento della produttività del lavoro, che costituisce il fondamento di qualsiasi sistema previdenziale. Ove mancasse questo fattore dinamico (in virtù del quale la ricchezza complessiva della società si accresce, nel corso del tempo, in misura del tutto sproporzionata alla quantità di lavoro via via erogata), nessun sistema pensionistico potrebbe esistere. Senonché, se si parlasse di questo non si potrebbe rappresentare il sistema pensionistico in forme statiche. Non si potrebbe sostenere che la pensione altro non è che la restituzione delle somme accantonate dal lavoratore nel corso della sua vita lavorativa (tutt’al più con l’aggiunta di un modesto interesse). E quindi non si potrebbe giustificare né la pretesa di farci lavorare di più, né la richiesta di affiancare alla previdenza pubblica il business delle pensioni integrative, su cui si scatenano gli appetiti di banche, assicurazioni e fondi pensione.
Detto del merito, c’è poi una questione – non meno seria – di metodo. Non solo il governo mostra di considerare una boutade il programma dell’Unione (che prevede la revoca dello scalone). Mostra anche di ritenere tutti noi un po’ fessi. Damiano e lo stesso Prodi giurano che si procederà «senza misure coercitive». Poi però parlano di «disincentivi» per chi scegliesse di lasciare il lavoro a 57 anni. Negano di volere innalzare l’età pensionabile. Ma invece di riferirsi alla soglia vigente (57 anni, appunto), ne evocano una molto più alta (62). Davvero un bel modo di ragionare, non c’è che dire!
La verità è che il governo sta dando pessima prova di pessime intenzioni. Cosa pensa? Che lo spettro di Berlusconi lo autorizzi a fare qualsiasi cosa, giocando ai bussolotti con gli impegni assunti? Rifletta bene. Uno sciopero generale dopo quattro mesi sarebbe un bel record per un governo di centrosinistra. E potrebbe anche segnare un punto di non ritorno.