Quel «filo nero» dal 12 dicembre alla strage di Bologna

Undici anni, chi li ha vissuti ha avuto l’impressione che scorresse dolorosamente un secolo. Ma il periodo è molto più breve. Vi si concentra un cumulo di morti innocenti, 135 vittime, 550 feriti, sacrificati a quella che, sul nascere, il settimanale inglese The Observer, definì «strategia della tensione». È infatti una particolarità tipicamente italiana, quella dell’uso di attentati e massacri indiscriminati e al tempo stesso mirati, per spostare – a destra – l’asse politico di un paese. C’è un periodo della recente storia d’Italia che va dalla strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) alla strage della stazione di Bologna (2 agosto 1980), che è ormai consegnato a migliaia e migliaia di pagine giudiziarie. Da cui emergono con chiarezza due dati, che costituiscono il filo nero che congiunge tanti lutti. E che formano il canovaccio di questa nostra enciclopedia del terrorismo nero, minuziosamente compilata da Saverio Ferrari. Il primo dato è la presenza costante tra i condannati, gli inquisiti, i sospettati per avere formato la manovalanza e i «quadri» che disseminarono l’Italia di bombe e ordigni mortali, di personaggi di diverso livello del neofascismo italiano, clandestino e palese. Il secondo dato è l’intervento prima, durante e/o dopo le stragi (in funzione di fornitura di armi, appoggio logistico, gestione, o successivo depistaggio) di una rete di ufficiali e agenti degli apparati dello Stato istituzionalmente dediti all’intelligence, e dunque – in teoria ma solo in teoria – alla sicurezza e alla prevenzione della criminalità politica. La prima strage della serie, di cui ricorre in questi giorni il trentasettesimo anniversario – la fatidica piazza Fontana – non casual- 7 mente è ricordata come la «strage di Stato» per eccellenza. Dal titolo di un meritorio pamphlet di «controinformazione», uscito a tambur battente, pressoché totalmente confermato da successive inchieste e processi. Lo schema si ripete, persino con monotonia, a Gioia Tauro nel luglio 1970, a Peteano il 31 maggio 1972, alla Questura di Milano il 17 maggio 1973, a Brescia il 28 maggio 1974, per l’Italicus il 4 agosto 1974, a Bologna il 2 agosto 1980, e nelle numerosissime e dimenticate stragi mancate all’arena di Verona, allo stadio di Varese, per le autobombe di Roma e Milano. La miscela esplosiva di bombaroli «neri» e servizi segreti e agenzie di Stato infedeli al giuramento costituzionale torna puntualmente nei fascicoli giudiziari di una decina di Procure e Tribunali italiani che con diversi gradi di avvicinamento alla verità hanno ricostruito un’intelaiatura inquietante. Si può affermare senza incorrere in smentite che essa non è stata ancora percepita in tutta la sua gravità da un’opinione pubblica, portata all’automatismo emotivo dell’indignazione e dell’accoramento e alla forzata smemoratezza successiva, frutto dell’andamento altalenante degli accertamenti giudiziari e del passare degli anni. Un dibattito fuorviante ha accompagnato questa perdita di memoria. C’è chi ha contestato le definizioni «strategia della tensione», e «strage di Stato» rilevando diverse presenze, finalità e matrici nei vari tasselli di questo mosaico. Diverse strategie concorrevano, e diverse tattiche tese anche alla «stabilizzazione» del quadro politico. E si sostiene che l’ipotesi che stava dietro alla formula dell’eversione «di Stato» non avrebbe retto, perché non è stato provato che i «servizi» abbiano materialmente piazzato ordigni mortali. Questo nostro volume cerca di dimostrare con l’evidenza dei risultati di indagini giudiziarie (molto più approfondite ed efficaci di quanto generalmente non si pensi), che tale obiezione – per alcuni versi fondata – non intacca, in definitiva, la possibilità e la validità di una visione di insieme. In ogni caso tutti concorderanno sul fatto che si tratti di documenti da raccogliere, selezionare, studiare. E le notizie sul deperimento degli archivi su piazza Fontana – carte in disfacimento che andranno perdute, inchiostri che sbiadiscono, faldoni alla mercé di qualunque incursione – devono farci riflettere. Più di un anno fa i familiari delle vittime di piazza Fontana scrissero a Ciampi che occorreva stanziare fondi per salvare e informatizzare quei documenti: «Cosa diremo alle nuove generazioni quando ci chiederanno spiegazioni di questo: forse che il deficit pubblico è aumentato e che quindi è giusto sacrificare la memoria del Paese nonostante che spesso abbiamo sentito dire che un Paese senza memoria è un Paese senza futuro?». Sono parole che ci sentiamo di sottoscrivere. Augurandoci che la nostra piccola, ma densa enciclopedia delle stragi di Stato possa offrire un contributo alla battaglia di verità e di giustizia.