«Quel decreto va cambiato. Se resta com’è non lo votiamo»

«Mi chiedo perché se il ministro Amato dice che i Cpt vanno mantenuti e non superati come sta scritto nel programma dell’Unione non succede nulla mentre se otto senatori chiedono una discontinuità con il governo Berlusconi succede il finimondo e si minaccia perfino il ritorno alle urne». Claudio Grassi è il coordinatore dell’Ernesto, la minoranza più consistente di Rifondazione, è uno degli otto senatori che ha annunciato il proprio voto contrario sulle missioni in Afghanistan. «Attorno alle nostre posizioni sento argomenti inaccettabili – dice Grassi – se qualcuno pensa di piegarci con la minaccia di elezioni anticipate o con provvedimenti disciplinari si sbaglia di grosso, chiedo a tutti una moderazione dei toni, perché noi non siamo degli irresponsabili e non rientra certamente fra i nostri obiettivi far cadere il governo Prodi. Noi abbiamo posto un problema politico e di questo vogliamo discutere.
Il decreto sulle missioni finalmente c’è. Qual è allo stato il vostro giudizio?
Il decreto conferma l’accordo raggiunto nei giorni scorsi e mi pare che si muova in sostanziale continuità con quello di Berlusconi contro cui noi abbiamo sempre votato. Per questo riteniamo sbagliato accettarlo così com’è. D’altra parte la disponibilità a votarlo da parte dell’Udc è la conferma della continuità con il passato.
Voterete no?
Lavoreremo nei prossimi giorni per introdurre all’interno del ddl la cosiddetta exit strategy, cioè un programma di rientro dei militari da Kabul. Il nostro atteggiamento in aula lo valuteremo alla fine. Se il decreto resta così com’è, il nostro voto resta contrario.
Perché il ritiro delle nostre truppe è giusto?
In Afghanistan c’è una guerra che non ha portato né la democrazia né la libertà: è aumentato il terrorismo, è aumentata a dismisura la produzione di oppio ed è cresciuta l’influenza dei talebani. Danni terribili ai quali non hanno risposto le missioni militari che dal 2003 sono sotto il comando Nato. Per questo dobbiamo ritirarci. Ce lo dice con forza Gino Strada, che credo sia una persona che conosce quella realtà molto meglio di tanti altri. Per questo tutte le sinistre hanno sempre chiesto un rientro da Kabul, seppure diluito nel tempo, consapevoli che non si possono ottenere sull’Afghanistan subito gli stessi risultati dell’Iraq. Del decreto però di tutto questo ragionamento non c’è traccia.
Secondo lei ci sono i margini per un’iniziativa, parlamentare e non?
Lavoreremo fino all’ultimo minuto. Speriamo che il paese e i movimenti ci aiutino a introdurre i miglioramenti necessari. Noi non siamo sulla linea del «tanto peggio tanto meglio».
Si parla però di una maggioranza che potrebbe cambiare di segno con i voti dei centristi. E’ un pericolo che vi convince?
E’ certamente una propensione che esiste in alcuni settori importanti della borghesia italiana. L’unico antidoto contro questa opzione, che sarebbe assolutamente negativa, è che l’Unione sia più differente possibile dal passato. Più saremo alternativi al centrodestra meno i centristi ci voteranno. Se devolvessimo il taglio delcuneo fiscale ai lavoratori e non alle imprese, per esempio, l’Udc non lo voterebbe. E così via.
Chi non vuole il ritiro dice che lasciare l’Afghanistan sarebbe come uscire dalla Nato. Condivide questa impostazione?
Non c’è dubbio che il nostro sganciamento creerebbe un conflitto con gli Usa e con la Nato. Ma non vuol dire che non sia positivo. La politica estera americana ha sconvolto il pianeta con una guerra che ha alimentato il terrorismo. Un atto forte e di discontinuità del governo italiano sarebbe utile per la politica estera in generale e per la pace nel mondo. Dobbiamo uscire da una guerra fatta solo per controllare le risorse energetiche di una zona strategica del mondo, tra Cina, Russia e Iran. Vogliamo un governo che sia non solo diverso da quello di Berlusconi ma anche un passo in avanti rispetto al liberismo temperato degli anni ’90, altrimenti che differenza c’è tra l’Unione e l’Ulivo?