Quei sondaggi scemi che servono ad attaccare i diritti

Le agenzie di stampa lanciano un sondaggio dell’“Espresso” secondo il quale la grande maggioranza degli italiani sarebbe felice di lavorare al sabato. Il sondaggio andrà esaminato oltre i lanci pubblicitari, ma intanto è giusto rispondere a come esso viene presentato all’opinione pubblica. La domanda «Sei disposto a sacrificare il sabato per lavorare o mantenere il lavoro?» è assolutamente scema. E’ evidente, infatti, che qualsiasi persona, posta di fronte all’alternativa tra la disoccupazione e il lavoro nel weekend, non avrebbe dubbi su cosa scegliere. E infatti ci sono milioni e milioni di lavoratori che lavorano nei giorni festivi e altri che addirittura lavorano solo i giorni festivi, sottopagati e supersfruttati. La domanda giusta, ma è davvero troppo pretendere che siano certi sondaggi a rivolgerla, sarebbe: «Credete che facendo lavorare di più e peggio chi già lavora, ci sarà l’occupazione di chi non lavora?». Ho l’impressione che a questa seconda domanda gran parte degli interlocutori risponderebbero in modo ben diverso. Come minimo, sarebbe alto il livello dei “non so”, se non altro perché non è mai stato dimostrato, né scientificamente né praticamente, che il peggioramento delle condizioni di lavoro produce più lavoro. Eppure anche dalle domande sceme emerge la realtà. Quella di un capitalismo italiano che, alla fine delle chiacchiere e dei convegni, pensa sempre di affrontare la propria crisi con l’attacco ai diritti e alle condizioni di lavoro.
Il presidente degli industriali, nella cui fabbrica si è scioperato 8 ore perché un consulente esterno ha investito con la macchina un lavoratore in sciopero per il contratto, ha spiegato che per reggere la competizione ci vogliono etica e flessibilità. La prima parola immagino sia rivolta verso la nuova cordata perdente del capitalismo italiano. Come altre volte è successo, chi tenta l’assalto al salotto buono delle imprese e dei poteri economici, finisce male. Da Schimberni a Fiorani, a conclusione degli sgarbi alle famiglie che contano, c’è la galera. Il fatto naturalmente i reati andranno appurati e puniti dalla magistratura, ma decisiva è sempre quell’azione parallela svolta dalle campagne culturali e politiche, che finiscono sempre per scatenarsi contro i capitalisti ultimi arrivati. Il capitalismo etico a me pare un classico ossimoro, a meno di non scomodare l’articolo 41 della nostra Costituzione.
Quello che stabilisce che l’impresa privata è ammessa solo se realizza una profonda utilità sociale. Se è così, se bisogna guardare ai posti di lavoro distrutti dalle grandi imprese del salotto buono, ai profitti non reinvestiti, alla crescita della speculazione, allora bisogna dire che questa etica sociale non è mai stata neppure nell’anticamera delle scelte e dei programmi dei gruppi di vertice del capitalismo italiano. Come dimostra anche il gran polverone sollevato sull’altra parola magica che oggi viene sbandierata dalle imprese: la flessibilità. E’ bene ricordare che ciò che pretendono gli industriali metalmeccanici, non è semplicemente la flessibilità degli orari, ma il governo autoritario di tutto il tempo di lavoro. Dovete lavorare 60 ore quando serve e stare a casa quando lo dico io. Questo pretendono gli industriali metalmeccanici, soprattutto sottolineando che il tutto deve avvenire senza la contrattazione aziendale. Non vengano le rappresentanze aziendali dei lavoratori a rompere le scatole con i problemi della salute e dell’ambiente, con il salario, con il lavoro precario e la professionalità, in fabbrica si lavora, non si contratta.
Anche qui sarebbe interessante un sondaggio che chiedesse a lavoratori e cittadini: «Siete disposti ad accettare di lavorare il sabato, la domenica, la notte, a comando delle aziende, senza poter neppure discutere sui vostri tempi di lavoro e di vita, oppure preferireste che la flessibilità fosse decisa con accordi sindacali attraverso i vostri rappresentanti?». Sono convinto che, ancor di più rispetto a questa domanda, le risposte sarebbero ben diverse da quelle che vengono ora utilizzate per dar ragione ai padroni contro i metalmeccanici. La verità è che l’offensiva contro il diritto dei lavoratori a contrattare i propri orari di lavoro, strumentalmente presentata come questione del sabato, è la dimostrazione di quanto il padronato italiano affronti la crisi con l’ottusità e la miopia di sempre. Certo, è più facile, vista la disponibilità di sondaggi e mass-media, far credere che il problema della competizione si risolva facendo lavorare al sabato lavoratori che magari al sabato già lavorano. Certo è facile presentarsi come esponenti del rinnovamento morale del capitalismo, dopo che gli sconfitti nelle scalate finiscono in galera. Questa però è la storia di sempre, quella di un capitalismo italiano che non cresce perché non ha mai davvero messo in discussione se stesso, i suoi centri di potere più antichi, le sue abitudini e ideologie di sempre. Il presidente della Confindustria ha spiegato che bisognerà dare nuovo impulso alla flessibilità, oltre la stessa Legge 30, superando gli arcaismi nel sindacato. A me pare che non ci sia niente di più arcaica della superficialità con la quale i padroni italiani affrontano la crisi italiana. Proporrei un sondaggio sulla credibilità di questi industriali e su quanto hanno stufato le loro arcaiche litanie.