Quei massacratori Ss «arruolati» dall’intelligence Usa per il «lavoro sporco»

Se la condanna dei boia di Marzabotto è arrivata sessant’anni dopo, e se essa risulta – usando le parole di Prodi – «solo simbolica», si deve anche alla presenza di un cospicuo scaffale americano nel famoso «Armadio della vergogna» in cui le stragi nazifasciste vennero insabbiate. E c’è un filo nero che unisce tutto ciò alle minacce ricorrenti alla democrazia italiana susseguitesi sino ai giorni nostri. I nomi di alcuni responsabili di quei crimini di guerra, salvati e reclutati in funzione anticomunista dall’intelligence Usa sin dal 1945, ricorrono infatti nelle inchieste e nei documenti sulla strategia della tensione.
Fosse Ardeatine Uno dei protagonisti del massacro delle Fosse Ardeatine, il maggiore Karl Hass, continuò a vivere indisturbato in Italia, dove era stato riportato con un falso passaporto dopo essere entrato a far parte del Cic (Counter Intelligence Corp) statunitense; mobilitò in vista delle elezioni del 1948 gruppi di terroristi di estrema destra romani per un piano di occupazione del ripetitore Rai di Monte Mario da compiere in caso di vittoria del Fronte, d’intesa con l’Ufficio Affari riservati del Ministero dell’Interno. Nel 1962 il giudice istruttore militare Giovanni Di Blasi riaprì l’inchiesta sulla strage, che si era risolta nel 1948 con la condanna di Kappler e di alcuni suoi collaboratori, ma emise sentenza di non luogo a procedere nei confronti di altri undici imputati, tra cui lo stesso Hass, perché non identificati, né reperibili. Invisibile per la giustizia italiana, Hass viveva e «lavorava» invece a quattro passi dagli uffici della magistratura militare e proprio da Roma coordinava una sua rete di spie anche a Genova Milano Torino e Bolzano. Nel suo fascicolo presso i servizi segreti italiani giaceva persino la foto di una cerimonia di battesimo in cui Hass compariva assieme a uno dei suoi reclutatori statunitensi, Joseph Peter Luongo: si tratta della superspia americana che reclutò il gruppi di Ordine nuovo veneto al centro delle trame che porteranno nel 1968 alla strage di piazza Fontana. Nei documenti degli archivi nazionali Usa desecretati da Clinton nel 1999, Hass è indicato come «un soggetto intelligente metodico leale e motivato» e sono descritti gli incontri e i rapporti con gli apparati di sicurezza italiani, tra cui il colonnello dell’Aeronautica Ettore Musco, a capo dell’Armata italiana per la libertà che fu mobilitata dall’ambasciata Usa sin dal primo dopoguerra per far fronte con le armi alle «minacce» bolsceviche.
Piazzale Loreto Nel piazzale milanese poi rimasto nella storia per l’esposizione dei corpi di Mussolini e dei gerarchi fascisti un anno prima, il 10 agosto 1944 il capitano delle SS, Theodor Saevecke, organizzò l’esecuzione di 15 ostaggi italiani, partigiani scelti tra i detenuti nel carcere di san Vittore. Finita la guerra, Saevecke rientrò nella polizia federale tedesca, fu reclutato nel 1946 dalla sede della Cia di Berlino e aiutato a evitare un processo per crimini di guerra che i britannici volevano intentare: in Polonia e in Tunisia era stato il braccio destro del maggiore Walter Rauff, l’ufficiale nazista che inventò le camere a gas mobili montate sui camion. Nel 1945 le autorità alleate l’avevano interrogato, e lui aveva ammesso non solo l’organizzazione della strage di Milano, ma anche di avere ordinato nell’estate 1944 a Corbetta la fucilazione di otto civili per rappresaglia a un attentato e di avere depredato la comunità ebraica. Il fascicolo su Saevecke fu nascosto dalla Procura generale militare nel famigerato armadio (era stato richiesto anche dai magistrati tedeschi, ma da Roma risposero che non c’era nulla di particolare), e solo nel 1999 venne alla luce, quando si celebrò a Milano il processo per la strage di piazzale Loreto: l’ex-capitano non si presentò, fu condannato all’ergastolo in contumacia, e l’anno dopo morì di morte naturale in Germania.
Eugen Dollmann Secondo gli archivi statunitensi, il colonnello Eugen Dollmann, uomo di fiducia di Himmler, uno dei più alti ufficiali nazisti operanti in Italia, fu rifornito nel 1952 dai servizi segreti italiani di un passaporto falso che gli consentì di tornare in Germania per inquinare i processi di “denazificazione” in corso. Scoperto, dichiarò che a fornirgli il documento era stato un italiano, di nome “Rocchi”. Si tratta di Carlo Rocchi, capo Cia a Milano: negli anni Novanta passava all’Ambasciata Usa notizie sulle rivelazioni sulla strategia della tensione raccolte dal giudice istruttore Guido Salvini. E’ anche l’ultima persona che rassicurò in carcere Michele Sindona del sostegno degli “amici” americani poco prima del famoso caffè avvelenato.