Donato, precario del call center Inps Inail di Bitritto (BA), lavoratore a progetto, inbound: «Non sappiamo cosa succederà», dice preoccupato. «La commessa in cui lavoro è stata vinta da Poste Italiane, che poi ha subappaltato tutto a due aziende private. Quando la prima ha deciso di ritirarsi, questo settembre, sono stato riassunto nella seconda, la Omnia, sempre come cocoprò, nonostante la circolare di Damiano ci classificasse come lavoratori subordinati a tutti gli effetti». Il 28 novembre i sindacati incontreranno i vertici dell’azienda. Ma non c’è nessuna certezza sul rinnovo della commessa, e l’avviso comune firmato da Confindustria e sindacati prevede l’assunzione scaglionata: 25% ogni trimestre. «Dovrebbero cominciare a rinnovare i contratti da maggio. Ma se a luglio l’Inps decidesse di non rinnovare la commessa, cosa accadrà?». «Nell’incontro chiederemo all’impresa di non scaglionare le assunzioni. D’altronde l’azienda potrebbe ricavarci gli sconti del cuneo fiscale e un alleggerimento delle sanzioni che gli ispettori del lavoro potrebbero infliggere loro», spiega Nico Di Sabato del Nidil di Bari.
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Cos di Napoli, call center del gruppo Almaviva, di Alberto Tripi, propietario di Atesia. Due anni fa i sindacati firmarono un accordo per l’assunzione di 140 cococò e interinali con contratti di apprendistato: 26 mesi in cui mescolare formazione e lavoro, con ricche detrazioni statali, e la promessa della stabilità. E invece… «Invece stanno arrivando le lettere di licenziamento, sono già 14», ci spiega Amalia Apuzzo, Rsu dell’Slc Cgil. «Proprio mentre l’azienda, che lavora sul 190 di Vodafone, assume nuove lavoratori somministrati. Come in Atesia, il gruppo Cos sceglie la strada della precarietà permanente», aggiunge Gianluca Daniele, segretario provinciale dell’Slc. «Già da due giorni siamo in mobilitazione, e lunedì sciopereremo. Coinvolgendo anche i lavoratori di Vodafone, poichè l’appaltante non è neutrale, in questa vicenda».
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«Ho quattro contratti, in tre università differenti. Tre nel Lazio, uno a Bologna. Insegno sociologia all’università», ci dice K., 38 anni, docente precaria. «Questa settimana, ad esempio, sono stata lunedì e martedì a Bologna, oggi ho lavorato vicino Roma, domani cambierò ancora ateneo, venerdì tornerò a Bologna: la mia vita è un viaggio…». Orario di lavoro? «28 ore di lezione ogni corso, più otto appelli, più gli esami da recuperare, più il ricevimento e le tesi». La paga? «3500 euro per un corso semestrale, 1000 euro lorde per l’altro. E i pagamenti arrivano in ritardo: da poco ho ricevuto i soldi dei 5 insegnamenti dell’anno scorso. Insieme non fanno uno stipendio decente… mi salvo con le bancarelle, arricchisco l’economia cinese». E il futuro? «Angoscia costante. A quarant’anni mi immaginavo una vita diversa. Invece, oggi, mi è precluso ogni progetto a lunga scadenza. E’ vero, il mio è un bel lavoro, non sto in miniera nè in un call center. C’è chi sta peggio di me, ma non posso restare sempre a guardare dietro».
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Eleonora Bussa, sospesa dal suo lavoro precario all’ospedale Sant’Andrea per aver raccontato la sua realtà di «fantasma» alla trasmissione Report, è stata reintegrata. Umberto Ranaldi, presidente della cooperativa Begonia di cui Eleonora figurava come socia, pur essendo a tutti gli effetti una lavoratrice dipendente, ha preso la decisione di ritirare il provvedimento disciplinare dopo un incontro con l’assessora regionale al Lavoro del Lazio Alessandra Tibaldi. Gli infermieri del Sant’Andrea hanno vinto la loro lunga vertenza per la stabilizzazione, anche se rimangono senza certezze i lavoratori delle mese e delle pulizie. Come dire, con un vecchio slogan, che la lotta paga.