Quattro morti al giorno; tra i 1.300 e i 1.400 all’anno, negli ultimi dieci anni; 1.950.000, la media annuale degli infortuni sul lavoro. È questa la triste statistica compilata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle cosiddette «morti bianche» che ha concluso i suoi lavori, durati dieci mesi, con decine di audizioni, visite a fabbriche e cantieri, a porti e cave Dopo l’entrata in vigore, nel 1994, della legge 626 sulla sicurezza e del decreto 38 del 2000 di riforma delle assicurazioni, si è avuta, è vero, una leggera diminuzione dei numero degli infortuni e dei decessi, considerati nell’arco degli ultimi 40 anni, ma in tre settori, come l’edilizia, l’agricoltura e la siderurgia, infortuni e morti bianche sono ulteriormente aumentati. Tragicamente nell’edilizia, che ha il triste primato di 330-350 morti annue, in larga percentuale dovute a cadute da ponti e tetti, segno che le misure di sicurezza erano inesistenti o insufficienti.
Antonio Pizzinato, vice presidente della commissione, ci segnala inoltre altri tre aspetti importanti. Il primo, che gli infortuni denunciati sono solo una parte di quanti realmente accaduti, perché si riferiscono solo ai lavoratori assicurati all’Inail, mentre milioni sono fuori di questa tutela. Il secondo, che spesso gli infortuni vengono nascosti da assenze «per malattia». Il terzo, che molte volte si denuncia l’infortunio come avvenuto il primo giorno di lavoro, per nascondere l’ assunzione irregolare del dipendente, denunciata solo al momento dell’infortunio. L’inchiesta ha anche scoperto che l’antica piaga del caporalato, non solo non è stata sanata, ma ha fatto la sua comparsa anche al nord (a Milano, ad esempio) e che i cantiere edili sono, in larga misure, fuorilegge (quattro irregolari su quattro visitati a Napoli, con fughe dei dipendenti appena hanno visto arrivare la commissione, riconosciuta, perché scortata dai carabinieri). Cinque le relazioni conclusive della commissione: su edilizia, malattie professionali, infortuni domestici, agricoltura, lavoro nero e minorile, che confluiscono in un documento finale, che sarà approvato anche a Camere sciolte.
L’indagine si è anche occupata delle malattie professionali, rilevando un aumento dei casi di tumore da amianto e da prodotti chimici, ma anche una grave carenza negli attuali metodi di rilevamento dei dati, che si riferiscono ai soli assicuri all’ Inail e all’Ipsema. Un esempio, a Gela, casi denunciati, 2.000, accolti 10. Inoltre, il 65% delle malattie professionali non è riconosciuto.
«I dati – commenta Pizzinato – indicano come il problema della sicurezza sia ancora di estrema gravità e siano necessarie nuove misure». In particolare, i Ds propongono l’adozione di un testo unico o di un codice sulla sicurezza, che tenga conto delle trasformazioni intervenute nell’economia; un registro generale degli infortuni sul lavoro, adottato dai ministeri interessati e dalle regioni, per superare l’attuale carenza nei sistemi di rilevamento dei dati; la determinazione di un vincolo di destinazione di una quota percentuale delle risorsi finanziarie alle Asl per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
La commissione ha rilevato che le misure di sicurezza trovano maggiori difficoltà di applicazione nelle piccole e medie imprese e nei settori agricolo e artigianale. Si propongono, per questi settori, misure premiali e finanziamenti di programmi di adeguamento alla normativa in vigore, e progetti per favorire l’informazione e la formazione da parte dei lavoratori e (questo pure per le imprese maggiori) dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, previsti dalla legge 626.