Quasi mille arresti a Hong Kong.

Nella mattina del penultimo giorno, mentre i paesi africani insieme a Venezuela, Indonesia e Cuba, rigettano la procedura con la quale vengono condotti i negoziati – in particolare il pacchetto sui servizi noto come Annex C che era stato respinto per poi ricomparire, come approvato, nel testo presentato da Lamy all’inizio dei lavori – gli attivisti dei movimenti sociali si sparpagliano per la città. In ogni via, in ogni centro commerciale, perfino alle fermate della metropolitana, puoi incontrare gruppi di manifestanti che arringano la folla, portano in giro i loro striscioni e i vari mostri di cartapesta raffiguranti il Wto. Per i coreani, che hanno scelto la manifestazione classica, le autorità di Hong Kong questa mattina avevano ideato una contromisura: la prima fila del cordone di sicurezza, davanti ai robocop in assetto antisommossa che hanno fatto la loro comparsa, è schierata una intera fila di poliziotte disarmate che hanno, com’era prevedibile, arrestato l’impeto dell’assalto alla zona rossa con molta più efficienza degli scudi di plastica dei giorni scorsi. Genialità orientali che però, nel pomeriggio, sono state abbandonate per le classiche manganellate.
Nel frattempo, dentro, accadeva di tutto. Le trattative nella penultima notte si sono svolte su tutti e tre i tavoli: agricoltura sulla quale gli americani tacciono mentre gli europei hanno offerto qualche data per il taglio dei sussidi alle esportazioni servizi (i cosiddetti Gats) e prodotti industriali (i Nama). Le belle intenzioni sviluppiste del development round di Doha sono andate a farsi benedire. Al loro posto un pacchetto di aiuti al commercio che, in realtà, sottraggono fondi dagli stanziamenti allo sviluppo per consegnarli alle corporation esperte in servizi commerciali del Nord del mondo. La strategia delle superpotenze economiche si basa in sostanza nel negoziare cose già acquisite – ad esempio una maggiore flessibilità nel liberalizzare i servizi concessa ai paesi meno sviluppati – più una lunga teoria dei trucchi più sporchi – in cambio dell’apertura del tuo mercato alle mie produzioni ti concedo di vendere liberamente prodotti che non sei in grado di fabbricare… Verso le 15 e 30 viene diramata una prima bozza di accordo che forse sarebbe meglio definire di disaccordo. Tutte le questioni all’ordine del giorno, e sulla quale ieri il gruppo dei 110 minacciava la rottura, sono stampate fra parentesi quadre il che, tradotto nel linguaggio dei documenti ufficiali, significa che non è ancora stato raggiunto un consenso. Le uniche novità sono alcune fumose frasi sulla condizione particolare dei paesi più poveri, a cui potrebbero venire concesse dilazioni sulle liberalizzazioni dei servizi – ma non è detto – e, rispetto all’accesso ai mercati, una riproposizione più ammorbidita della famigerata “formula svizzera” che consiste nel costringere a ridurre le tariffe doganali più rapidamente i paesi che le hanno più alte, cioè i più poveri. Per quanto riguarda il taglio dei sussidi alle esportazioni finalmente compare una data, il 2010, ma è ancora fra parentesi ed è quindi tutta da discutere. Il che, sul piano della politica italiana, significa che la ferma difesa di Alemanno della Politica agricola europea è stata sacrificata all’altare della presidenza inglese dal premier del suo stesso governo.
I giornalisti sono ancora impegnati nella difficile arte della decodifica – così come i delegati dei paesi in via di sviluppo che non hanno i soldi per pagarsi le squadre di tecnici – che viene fatta una singolare scoperta: della prima bozza di accordo esistono ben tre versioni differenti nelle quali le parentesi quadre vengono tolte o aggiunte in modo fantasioso – la versione per la Bbc, ad esempio, ne ha parecchie di meno.
Ore 17. Il negoziatore brasiliano e ministro degli Esteri (con delega al commercio) Celso Amorin tiene una conferenza stampa insieme agli altri paesi del G20. Concede che «in qualche caso marginale ci sono stati modesti progressi in campo agricolo, ma molto al di sotto di quanto volevamo». «E’ una buona base per cominciare a trattare» gli fa eco il collega indiano. Il che, considerando che mancano appena 24 ore alla fine della ministeriale, è davvero poco. I volti contratti del negoziatore argentino e di quello dello Zimbabwe sono più eloquenti delle parole: è evidente che Brasile e India sono disposti a fare concessioni su Nama e Gats, ma vogliono portare a casa qualcosa di concreto sull’agricoltura. Il fronte del Sud tiene ma, come forse era realistico immaginare, viene portato sulle posizioni più moderate dei paesi più forti, a scapito dei più deboli. Grandi perdenti, sempre che non accada qualcosa di grosso durante l’ultima notte di trattative, sono i paesi africani. Sul cotone gli americani non hanno concesso nemmeno quel poco che hanno mollato gli europei, solo generiche promesse di aprire i mercati del Nord ai prodotti africani, ma nessuna data, nemmeno fra parentesi. Una sentenza di morte per i paesi cotonieri dell’Africa occidentale.
Ore 18. Dalle stanze delle trattative, dove si aggirano sempre più cupi i rappresentanti dei sindacati agricoli africani, la scena si sposta in strada: i coreani sono inaspettatamente riusciti a sfondare numerose barriere e sono arrivati proprio sotto al palazzo, dove si sono consumati scontri molto duri. Alle sette di sera il quartiere è praticamente in mano ai manifestanti mentre, dagli innumerevoli cavalcavia, si affacciano famiglie intere munite di immancabili macchine fotografiche: applaudono, si accalcano o semplicemente si affacciano. Alle sette e mezzo un livido capo della polizia compare in televisione per recitare un comunicato ufficiale durissimo: «I contestatori oggi hanno mostrato il loro vero volto attaccando con la violenza la polizia. Evidentemente il contenimento dei giorni scorsi è stato preso per una prova di debolezza, ma d’ora in poi non sarà così. Avverto i cittadini di Hong Kong che hanno parenti o amici nel quartiere che ospita la Convention di abbandonare immediatamente la zona perché la polizia prenderà misure molto drastiche». Immediatamente si scatenano le cariche e partono i lacrimogeni mentre, all’interno del palazzo della Convention, la polizia è in preda al panico. Cordoni di agenti in assetto anti-sommossa vengono schierati alla base di ogni scala mobile, davanti all’entrata e per i corridoi, fin dentro la sala stampa. «Stanno entrando!» continuano a ripetere gli addetti al servizio di sicurezza mentre corrono freneticamente da una parte all’altra, e non sembra che parlino di qualche migliaio di manifestanti ma di un vero esercito in procinto di invadere il castello. I giornalisti, spaventati, si accalcano dietro alle vetrate dove sono schierati gli agenti e si spintonano quando il numero due della polizia cittadina – stavolta un inglese – concede una conferenza stampa improvvisata con la quale cerca di rimediare alla gaffe del suo collega cinese.
Alle nove l’allarme è rientrato nel palazzo del Wto – anche se forse non può dirsi lo stesso per il Victoria Park, dove si concentrano i manifestanti: quasi mille le persone fermate e una cinquantina i feriti. Nella notte, potrebbero venire sperimentate le “misure drastiche” annunciate. Per i corridoi un delegato sudafricano scuote la testa e sorride: «E li chiamano scontri? Si vede che non ci sono abituati. Vedessero da noi.