Quanto piace a sinistra il D’Alema non autosufficiente

A sinistra apprezzamenti al D’Alema “non autosufficiente” e bacchettate a Franceschini che parla di alzare la soglia di sbarramento alle europee per evitare di rimpiombare nella frammentazione, cosa che potrebbe trasformarsi in un nuovo bagno di sangue per le forze arcobaleno già terremotate dal risultato delle politiche.
Il dibattito che si è aperto nel Pd in questi giorni su sollecitazione di Bersani prima e di D’Alema poi fa aguzzare le orecchie alla sinistra (ormai) extraparlamentare in fase di avvio di congressi. Perché – si dice – l’Unione mai più, ma un’alleanza fra diversi a sinistra invece sì, dato che la conquista del centro da parte del Pd non c’è stata e volendo provare a vincere al prossimo giro, non solo alle amministrative. È questa l’aria che tira per esempio nell’ex maggioranza bertinottiana di Rifondazione, dove Franco Giordano mostra interesse per la posizione del ministro degli esteri: «Non si tratta di cercare scorciatoie o di ipotizzare nuove alleanze. Le prospettive strategiche del Pd e quelle del Prc e della sinistra sono distinte. Tuttavia è evidente che l’americanizzazione che risponde alla vocazione del Pd veltroniano ha determinato uno sfondamento senza precedenti della destra. È un dato che il Pd non può ignorare. Se avvierà una riflessione critica sulla scelta del modello americano si potranno determinare le condizioni per una rivincita». E se Diliberto tace e Salvi ha già fatto sapere che guarda con attenzione agli sviluppi, il verde Paolo Cento spiega a Europa: «È un dibattito da seguire senza intromissioni, ma io penso che la prospettiva di un alleanza a sinistra per il governo sia per il futuro difficilmente eludibile e non solo nelle elezioni locali». Certo, non l’Unione, da cui si può provare a uscire «lavorando per costruire una sinistra che gestisce la cosa pubblica senza avere però la pretesa di governare i movimenti che legittimamente agitano il conflitto. Si deve riflettere sulla capacità di tenere una prospettiva di governo che sia anche di cambiamento, e in questo la Lega qualche spunto di riflessione lo dà». Non sembra invece smuovere gli animi l’appello che Marco Pannella ha lanciato da Chianciano, anche perché si tratta di capire bene di che cosa si tratta. Bertinotti non parla, Cento spiega: «Il tema per noi dirimente oggi è l’alleanza col Pd. Nel costruire una ampia sinistra non ideologica i radicali possono dare un contributo molto importante sul versante dei diritti». Nel frattempo, nel Prc si prepara una nuova battaglia su come arrivare al congresso. Ferrero e Grassi lo vogliono per tesi – un solo documento, molti punti su cui si va singolarmente al voto – i bertinottiani e (altra convergenza inedita) Pegolo della minoranza dell’Ernesto per mozioni contrapposte ciascuna con un candidato segretario. La commissione di garanzia si riunisce domani, ma è probabile che sia di nuovo il parlamentino del partito, convocato per il fine settimana, a dire l’ultima con una ulteriore conta interna dall’esito incerto proprio perché questa volta con l’ex maggioranza si schiererà anche l’Ernesto.
I bertinottiani spingono per un congresso a mozioni perché sanno che sulla carta Ferrero non ha una maggioranza politica, essendo le sue posizioni e quelle di Grassi e Mantovani anche molto distanti (la non violenza per esempio). In questo caso le tre aree difficilmente potrebbero produrre una mozione comune e i bertinottiani sarebbero in partita. Tutt’ altro scenario quello del congresso a tesi in cui viene votato separatamente ogni punto e in cui a decidere il segretario sarà la convergenza su una questione dirimente, ovvero ciò che sarà del Prc una volta avviato il processo unitario e plurale. Stabilito che il partito non si scioglie, si va verso un nuovo soggetto in cui Ferrero vuole che il peso di Rifondazione sia predominante nel momento di decidere le strategie, i bertinottiani invece una progressiva cessione di sovranità secondo la logica una testa un voto con le altre componenti della rete. Qui la saldatura identitaria Grassi -Ferrero è certa. La partita più semplice per l’ex ministro, la scissione più che possibile. Intanto, il candidato in pectore dell’ex maggioranza Nichi Vendola, fa sapere: «Darei me stesso per salvare il Prc. Ma se si tratta di salire su un ring e fare lotte per il potere non sono un granché stimolato».