Quanto pesa il petrolio del Caspio

In Afghanistan non c’è neppure una goccia di petrolio. In teoria, ciò avrebbe dovuto garantire al paese la massima tranquillità. Mai previsione fu più confutata. La domanda, insomma, resta in piedi: c’entra o no il petrolio con la “guerra infinita”? Per risondere bisogna sapere quali sono le riserve di petrolio estraibile a livello mondiale, quale il ritmo di scoperta di nuovi giacimenti e quale il consumo annuo ai ritmi di sviluppo attuale. Già negli anni ’70, infatti, con il primo shock petrolifero, la sinistra cadde nell’errore di calcolare molto male tali grandezze, coltivando previsioni catastrofiste a breve termine completamente errate. Resta però il fatto che il petrolio è un bene non riproducibile, quindi in via di esaurimento. Ma quanto tempo abbiamo davanti per trovare un suo sostituto? E soprattutto: chi gestirà questo tesoro residuo da qui all’esaurimento?
Secondo le statistiche pubblicate dall’Unione petrolifera (Up) le riserve accertate ammontavano nel 2000 a 138.614 milioni di tonnellate; l’estrazione annuale mondiale, nello stesso anno, arrivava a 3.452 milioni. Si potrebbe dire che ce n’è per 40 anni. Complicano però l’equazione due fattori: 1) il consumo annuo aumenta con la crescita economica e nonostante le nuove tecnologie energy saving; 2) nuovi giacimenti vengono scoperti. Diversi ricercatori non dipendenti dalle compagnie petrolifere stimano che le riserve effettivamente estraibili siano molto minori, ma ce ne occuperemo un’altra volta. Le stesse tabelle dell’Up rivelano che i due terzi delle riserve conosciute sono in Medio Oriente (il doppio, in assoluto, rispetto al 1970), mentre quelle americane si sono dimezzate (2.869 mil/ton invece che 5.280). Ma il dato più interessante è u altro: dal ’90 a oggi le riserve complessive sono rimaste stabili (da 136.706 a 138.614 mil/ton). I nuovi ritrovamenti, insomma, bastano appena a coprire il consumo corrente. Anzi, nel 2000 si registra una lieve flessione (la prima in assoluto) rispetto all’anno precedente.
Si può anche pensare che gli Usa – così come altri paesi – dichiarino riserve inferiori (o superiori) per motivi strategici o di mercato. In effetti ci sono anche alcune incongruenze rilevanti. Dal ’94 al ’99, per esempio, il Kuwait dichiara sempre la stessa quantità di riserve (13.165 mil/ton), come se in quegli anni l’attività estrattiva fosse rimasta ferma o le nuove scoperte avessero pareggiato i conti al millesimo con la produzione (statisticamente improbabile).
La stessa linea piatta descrive le riserve dell’ex-Urss (7.776 mil/ton) tra il ’90 e l’anno scorso. E qui qualcosa di strano c’è sicuramente. La bibbia del settore, l’Oil and Gas Journal, considera che la sola area del Mar Caspio abbia riserve certe tra i 18 e i 34 miliardi di barili (2.770-5.000 mil/ton), e che i nuovi giacimenti di Tengiz, Gunashli e Kashagan (più altri sei sotto quel “mare”, non ancora esplorati) possano portare il totale a 235 miliardi di barili (36.150 mil/ton); pari a dieci anni di consumo in più, ai ritmi attuali. Un bel bottino, non c’è che dire. La stessa rivista parla però delle difficoltà che i paesi della zona (Kazakhstan, Azerbaigian, Uzbekistan e Turkmenistan) e la compagnia più attiva (Chevron) trovano nello sfruttare pienamente questo patrimonio probabilmente immenso: mancano infatti gli oleodotti. O meglio, quelli che ci sono – costruiti o progettati prima del crollo dell’Urss – portano tutti in Russia. E questo non piace né alla Chevron (il cui ex amministratore – Condoleeza Rice – siede ora nel governo Bush come consigliere per la sicurezza nazionale) né alla Turchia (il terminale di Novorossisk è nel Mar Nero, e le petroliere devono attraversare il Bosforo).
I paesi del Caspio non hanno neppure un accordo generale sullo sfruttamento dei giacimenti (l’unico esistente era tra Urss e Iran, che restano nella partita), e spesso sorgono contrasti. Il problema geo-politico è insomma chiaro: tutta quest’area, che comprende il confine meridionale della Russia asiatica, richiede un “ordine duraturo”, perché altrimenti non si può progettare – e mantenere in condizioni di sicurezza – la faraonica rete di pipeline che dovrà portare il petrolio del Caspio ai punti di imbarco o raffinazione. Come dice la bibbia dei petrolieri “l’export di petrolio e gas dalla regione del Caspio resta al di sotto delle possibilità a causa dell’insufficiente disponibilità di oleodotti”.