Quante volte nella storia d’Italia il tricolore ha coperto le porcherie…

Va bene, mi espongo al linciaggio, non ho mai visto una partita di calcio, non ho il mito dei calciatori e i mondiali – sarò diversa, anomala, strana, trans, irregolare, matta, negra? – non mi hanno dato brividi, sarò fatta male ma l’entusiasmo della nazione non mi ha travolto neanche un po’.

Tornavo, quella fatale domenica sera del Dopo Evento, da un viaggio fuori Roma e mio malgrado mi sono trovata dentro il gorgo delle migliaia di scatole di latta impazzite, di quel fiume di mille occhi rossi che fendevano la notte e mi puntavano; perduta tra braccia e bandiere e aste e urla di gente strana che penzolando fuori dai finestrini mi veniva addosso, più che incontro. Confesso, non solo non partecipavo al furioso entusiasmo, piuttosto, attaccata al volante, rimpicciolita, cercavo di trovare la mia via e di scansarmi educatamente. No, non partecipavo all’immensa gioia, a dire la verità più che altro avevo paura. Sono lì ferma intrappolata e rannicchiata, quando un ragazzo con la faccia da matto mi dà un colpo sul cofano con l’asta del malcapitato tricolore e mi urla addosso, «ma perchè non ridi, perchè non suoni il clacson, dai muoviti morta di sonno», pepepepepe, poi se ne è andato strombazzando con la bandiera al vento.

Beh sono tornata a casa come ho potuto, sana e salva grazieadio, e poi ho seguito tutto, le autorirà grandi e piccole, le ministre bionde e non, e il pullman azzurro e gli eroi che ritornano, e il milione in piazza, l’Italia che riparte e il Pil che cresce e l’effetto psicologico che traina il mondo dietro l’Italia. E il tricolore e la patria e siamo tutti italiani, quelli famosi, quelli “brava gente”.

Per così poco? Basta una partita di pallone, e ritorna la retorica del siamo un popolo di santi poeti navigatori e calciatori? Retorica troppo gratuita, troppo a buon mercato, falsa, e sotto – ha ragione il nostro direttore – sotto il malcapitato tricolore, spuntano non i valori, ma i disvalori.

Curioso. I cosidetti media – quelli più grandi in testa – sembrano schizofrenici, non ditemi di entusiasmarmi per il calcio; eccoli lì, i giornali: per metà questo Pallone Nostro è oro mirra incenso e per l’altra metà è puro sterco, del diavolo o meno. Divisi a metà, e mentre la prima parte osanna il pallone valore della patria tutta, l’altra lo calpesta, lo trascina nella polvere come simbolo di mercificazione, corruzione, colossale frode, alla faccia del povero De Goubertin e delle falangi di tifosi.

Quegli stessi tifosi, poi, che ieri e ieri l’altro sono stati acclamati come il simbolo della migliore gioventù italica (bottigliate in faccia e svastiche a parte), ma che in altri momenti (non molto lontani) hanno pur riempito libri e inchieste per via di gesta non proprio encomiabili (il teppismo delle curve, gli stadi blindati, il tifo violento, do you remember?).

Non sono apodittica, diciamo che c’è il bene e il male dappertutto; però, almeno, non fingiamo di avere improvvisamente a che fare con «belli e buoni» tout court, nei quali tutti dovremmo specchiarci. Piano, per favore.

E poi il tricolore, lui. La nostra amata bandiera. E l’inno nazionale. Lo hanno visto tutti. Anche loro, i nostri calciatori d’oro là schierati sul campo sotto gli occhi del mondo intero, proprio loro anche domenica scorsa hanno avuto l’aria di sempre, l’aria di cantarlo, quell’inno, come una cosa senza senso, appunto con l’aria di dire boh, chissà che vuol dire, boh, che porga la chioma…

Hanno ragione, mi vendico un po’ canticchiando Gaber, quello che «mi chiamo Gigi vivo a Milano e non mi sento italiano e quanto all’inno nazionale un po’ me ne vergogno»…

Già, il tricolore, lui. Ma bisognerebbe rileggere i libri di storia (non necessariamente quelli che si usano a scuola), rileggere il Risorgimento (e magari Gramsci), le cosidette guerre d’indipendenza, l’Unità. Per gran parte della storia d’Italia il tricolore, lui, ha coperto un sacco di porcherie, di menzogne, di soprusi, di inganni; anche una serie disastrosa di guerre maledette che il popolo ha dovuto subire; ha coperto la Prima e la Seconda Guerra mondiale, i regi carabinieri coi fucili puntati dietro i fanti che esitavano ad andare all’assalto là sull’Isonzo, ha coperto il fascismo, l’Abissinia, la guerra di Spagna, El Alamein e i ragazzi di Salò. Ha coperto molte porcherie e preteso molto sangue. Avanti Savoia, i soldati contadini e analfabeti furono mandati al macello con questo tricolore fregiato di uno stemma destinato a diventare una vergogna nazionale.

Il tricolore, lui, venne salvato dopo, stretto nelle mani di chi lo ha impugnato contro la politica delle classi dirigenti, durante e dopo il Risorgimento, durante e dopo il fascismo, durante la guerra di resistenza. Il tricolore, lui, mgettato nel fango, lo abbiamo salvato noi, noi movimento operaio, comunisti, socialisti, azionisti, cattolici, lberali, operai e intellettuali ribelli.

Ma sì, il tricolore “salvato” fregia anche le nostre bandiere di partito, ma siamo sospettosi – restiamo sospettosi – di questo uso smodato e tuttofare del tricolore. Come ci insegna appunto la storia italica, può servire a molti, e anche non edificanti, scopi. Ebbene, anche se la Suprema Corte in America ha sentenziato che bruciare la bandiera non è reato, noi pensiamo che questa nostra bandiera “riscattata” è una cosa seria.

Per favore, piantatela, smettetela di usarla come una miserabile foglia di fico.