Quando la storia è cattiva maestra

La storia è cattiva maestra, quando le si chiede di insegnare non un metodo ma una verità definitiva: perché le verità definitive, oltre a non esistere (come sanno le persone ragionevoli) hanno il difetto di disturbare il sonno di coloro che per altre presunte verità sono morti; e disturbare il sonno dei morti, ha detto ieri un signore di Tallinn citato da un’agenzia, «è come sputare nelle anime dei vivi». Insomma, non si deve fare.
E però si sta facendo, a tutto spiano e con sovrana leggerezza, nel luogo dove farlo è più pericoloso perché la storia vi è stata più complicata e intessuta d’odio: la nostra vecchia Europa, dove l’ansia di cancellare i decenni «comunisti» appare sempre più furiosa. I fatti dell’altra notte in Estonia sono davvero simbolici, e in quanto tali non riguardano solo gli estoni e i russi: sarà un caso che quel piccolo paese baltico abbia compiuto nientemeno che una secessione dall’Urss senza alcuna violenza e veda il primo morto in piazza nel giorno in cui viene spostato un monumento funebre? No, non è un caso; perché una secessione è un fatto politico e può esser gestita pacificamente, mentre toccare quel monumento, e ancor più le ossa dei tredici soldati sovietici che giacevano lì sotto, è toccare i milioni di caduti per colpa di «verità definitive»; è sputare nelle anime di milioni di loro discendenti. Difficile gestirlo in pace.
Così come non è un caso che poco distante, in Polonia, le tensioni, i risentimenti e la paura nella società raggiungano il livello più alto da decenni per una legge che obbliga i pubblici impiegati – dai bidelli agli eurodeputati – a sottoporsi a un umiliante esame di «integrità democratica» giurando di non aver mai avuto niente a che fare con i comunisti. Né più né meno di quanto accadde negli Usa dei primi anni ’50 con la «caccia alle streghe» lanciata dal senatore McCarthy – salvo che negli Usa i comunisti erano una piccolissima minoranza mentre in Polonia gli iscritti al partito erano un decimo della popolazione. Di nuovo, milioni di persone vedono frugare nel passato proprio e delle proprie famiglie, indietro per generazioni, vedono far tutto un fascio di viltà e coraggio, resistenti antinazisti, rivoltosi di Poznan e pionieri di Solidarnosc messi insieme a spie e delatori. Milioni di persone che vedono sputare nella propria anima.
E tutto ciò perché? Perché questo sciagurato desiderio di rimuovere fisicamente il passato (altrui) imperversa al di là d’ogni ragionevolezza? Se ne sente l’eco anche a casa nostra, nell’ansia di «nuovo» che spinge tanta parte del ceto politico a buttare nel secchio tutto ciò che lo lega alla sinistra. Eppure, se dalla storia si vuol trarre un insegnamento serio, bisognerebbe ricordare come proprio i demonizzati «comunisti» nella loro versione più orrenda, durante gli anni staliniani, cercarono dove possibile di estirpare fisicamente il passato «alieno», presunto nemico. Parevano esserci riusciti: ma alla fine fu chiaro che no, il passato non si estirpa, si riaffaccia sempre. Com’è che nessuno sembra averlo capito?