Caro direttore Curzi, a volte la memoria o anche solo un buon archivio, possono aiutarci molto rivelandoci la rozzezza di certo giornalismo che sembra incapace persino di guardare nelle colllezioni dei suoi giornali.
Ti allego, per esempio, due ritagli di quotidiani: “Il Giornale” del 25 agosto 1998 e “la Repubblica” del 31 dicembre 1986.
“Il Giornale” ci spiegava nell’occhiello:
“Sorprendenti retroscena sulla carriera dello sceicco. Dagli Stati Uniti ha ricevuto finanziamenti anche dopo l’82”; titolo: “Bin Laden ’creatura’ della Cia” e sommario: “Il terrorista miliardario fu addestrato dagli 007 Usa contro i russi in Afghanistan”.
“La Repubblica” invece si domandava se “L’Italia forniva armi chimiche ai guerriglieri afghani”.
Franco Iachini (Roma)
Grazie, caro Iachini, per la tua memoria e congratulazioni per l’archivio casalingo. Credo di far cosa gradita ai nostri lettori, che ci chiedono documenti sulle vicende afghane, ripubblicando per intero l’articolo de “Il giornale” dell’agosto ’98, firmato dal suo corrispondente da Wasghington Alberto Pasolini Zanelli. (a. c)
Ecco il testo dell’articolo pubblicato il 25 agosto ’98.
«Nessun bombardamento missilistico dovrebbbe essere stato così facile per gli Stati Uniti di quello contro la base in Afghanistan di Osama bin Laden. Essa è stata infatti costruita con il contributo tecnico-finanziario della Cia. Kost, un villaggio in un remoto angolo di quel paese montuoso, era uno dei centri principali della resistenza all’invasione sovietica. A farne una roccaforte, nella forma di sei accampamenti, per i mujaheddin l’America contribuì direttamente e indirettamente. Alcuni dei terroristi di oggi erano i “combattenti per la libertà” di ieri. Parte di un programma che costò agli Usa 6 miliardi di dollari in armi e altre forniture ai partigiani afghani, Kost resistette a una serie di attacchi dei missili sovietici Scud, Barrage di artiglieria, bombe da 250 kg e un ultimo assalto con elicotteri guidato, in persona, dal più duro dei generali sovietici in Afghanistan, Boris Gromov. Un buon nido in cui Laden ha costruito ora la sua università per terroristi. Non è il solo caso, anche se oggi è il più famoso. Laden fu effettivamente un eroe di quella guerra, cui partecipò da volontario, arrivando nel 1982 assieme a migliaia di volontari da ogni paese islamico. Egli partecipò di persona ai combattimenti, rimanendo ferito e distinguendosi per la sua audacia; ma divenne famoso anche perché, oltre al suo sangue, versò, per la sua causa, il suo denaro: una buona parte di un capitale di 500 miliardi di lire ereditato dal padre, un costruttore edile. Dall’azienda paterna Laden trasse anche l’esperienza tecnica per costruire in Afghanistan tunnel e strade per i guerriglieri. Era un’impresa pericolosa perché sotto il tiro degli elicotteri sovietici. Una volta che per questo motivo non si presentarono volontari, Laden guidò personalmente il bulldozer. Logico che l’Occidente lo aiutasse: il suo esercito personale di tre o quattromila guerriglieri ricevette un sacco di armi dalla Cia e dei missili anti-aerei costruiti in Gran Bretagna. Finita e vinta la guerra, il nostro pesonaggio lasciò l’Afghanistan e tornò in patria dove però si trasformò subito in contestatore. Egli considerava infatti l’imperialismo americano nemico quanto quello sovietico e si ribellò all’idea che le truppe Usa si installassero sul suolo saudita durante la guerra del Golfo. Laden scongiurò il suo governo a sconfiggere gli irakeni da solo e presentò al ministro degli esteri saudita un piano dettagliato quanto irrealistico. Ne seguì una vera e propria lite al termine della quale Laden fu spogliato della cittadinanza saudita. Se ne andò nel Sudan a organizzarvi un centro terroristico. Ne fu espulso nel 1996 e finì col tornare fra le sue montagne afghane, nella “tana” preparatagli dalla Cia. Egli la trasformò nella base del suo esercito personale, sotto l’occhio benevolo dei talebani al potere a Kabul ai quali egli faceva presumibilmente cospicue donazioni finanziarie. Il suo eccesso di attivismo aveva sollevato di recente qualche inquietudine persino nei talebani. Il capo della milizia, il mullah Omar aveva già (o almeno ora dice) ammonito Laden ad astenersi da ogni attività militare sul suolo afghano. Non pare che abbia mantenuto la promessa che, dopo il raid americano, i talebani gli hanno fatto una reprimenda e hanno promesso a Washington di impedirgli nuove iniziative. I talebani sarebbero anche pronti a processare Laden ma solo davanti a un tribunale islamico cui gli Stati Uniti dovrebbero presentare le loro prove. Un’estradizione è invece impensabile. Laden è e rimane, nelle parole del generale pakistano Gul, “estremamente popolare nel movimento islamico, simbolo di coraggio e di sfida”. Per ora egli ha traslocato da Kost in una residenza che i talebani gli hanno fornito a Kandahar, con le sue quattro moglie e un considerevole seguito».