Intervistato sul Corriere di ieri, Fausto Bertinotti ha ritenuto necessario ridimensionare il senso e la portata del caloroso messaggio di benvenuto che Romano Prodi ha riservato a Bush per la sua visita in Europa (“Welcome, Mr President”): “quel saluto – ha affermato Bertinotti – rappresenta il guanto di velluto, obbligatorio nelle relazioni diplomatiche”. L’importante è, prosegue Bertinotti, vedere quale mano si nasconde dietro il guanto; in altre parole, quale è, al di là dei toni, la politica estera dell’Unione.
A noi, sinceramente, quell’intervento di Prodi (e sottolineiamo, Prodi, non Rutelli o Marini) era parso molto grave e preoccupante. Ma vogliamo evitare la troppo facile polemica, vista la serietà del tema, e pertanto facciamo nostro l’invito del Segretario e cerchiamo di analizzare la mano piuttosto che il guanto.
Dimentichiamo, allora, il “welcome mr president”, che pure non ci pareva affatto “obbligato”, e leggiamo il resto della lettera di Romano Prodi, pubblicata sulla Repubblica di domenica scorsa.
Due ci sembrano i passaggi significativi.
Primo. Riferendosi all’Unione Europea, Prodi sostiene che “non c’è altro soggetto politico che, nell’ultimo mezzo secolo e, in particolare, negli ultimi dieci anni, abbia avuto tanto successo nell’esportare la democrazia”. A dimostrazione di ciò, l’ex Presidente Ue ricorda che “con oltre 70mila soldati impegnati sotto le bandiere dell’Onu, della Nato e dell’Unione, dalla Bosnia al Kossovo, dall’Afghanistan all’Africa, l’Europa ha portato e porta un contributo essenziale alla sicurezza internazionale”, ed è stata per gli Usa, nei cinque anni di presidenza Prodi, un “partner serio, cooperativo ed affidabile” nella “lotta contro il terrorismo”.
Secondo. Prodi sostiene che finalmente ci sono le condizioni per un “nuovo, grande accordo transatlantico. Tale accordo dovrà essere la base di un dialogo euroamericano per esercitare in comune le responsabilità di cui dobbiamo farci carico per la sicurezza, per lo sviluppo, per la stabilità finanziaria, per il sostegno ai paesi poveri, per l’ambiente. In poche parole, per costruire un mondo più vivibile e civile. Solo l’Europa e gli Stati Uniti insieme lo possono fare”.
Questa è la mano sotto il guanto.
C’è la piena rivendicazione della politica di guerra che il centrosinistra mondiale (Clinton, Blair, D’Alema, Prodi) ha condotto negli anno novanta. C’è l’invocazione di un “multilateralismo” che si risolve nell’idea che l’intero Occidente (non solo gli Usa) abbia la responsabilità (in passato si sarebbe detto il “fardello”) di rendere il mondo “più vivibile e civile”, non solo attraverso politiche di “sviluppo e stabilità finanziaria”, quali quelle che i popoli del continente latinoamericano hanno visto all’opera sotto forma di “beneficenza” targata Fmi, ma eventualmente anche attraverso l’esportazione armata della democrazia e del liberismo (vedi Yugoslavia).
É questo, temiamo, il segno che Romano Prodi, in linea probabilmente con le intenzioni dei governi dell’asse franco-tedesco, vuole imprimere alla politica estera dell’Unione (intendiamo qui l’ex Gad).
Il segnale agli Usa è stato lanciato e sembra voler fare dimenticare il no unitario dell’Unione al rifinanziamento della missione irachena.
Ma anche quest’ultimo atto, a ben vedere, può essere riletto nella corretta luce, se solo si guarda alla storia parlamentare della missione irachena, e se ne sa leggere il processo involutivo: fino a un anno fa la sinistra d’alternativa presentava una propria mozione per il ritiro immediato delle truppe; circa sei mesi fa l’intero centrosinistra presentava una mozione unitaria per chiedere il ritiro delle truppe, ma circondandolo di molti “se” e “ma”, differendolo nel tempo e subordinandolo alle elezioni irachene; oggi il centrosinistra riesce a stare unito solo a patto di non presentare alcuna mozione in Parlamento, di modo che la richiesta di ritiro delle truppe diviene solo una conseguenza implicita del no al rifinanziamento.
Se tutto ciò è vero, il tema si fa ancor più serio: non tanto “qual è la politica estera dell’Unione?”, ma piuttosto “qual è l’attuale politica estera di Rifondazione Comunista”?