Ha lasciato l’amaro in bocca a molti dirigenti e attivisti di Fatah l’atteggiamento «ambiguo» tenuto dall’Anp di Abu Mazen durante l’offensiva militare israeliana a Gaza. Mai come in questi giorni il partito fondato da Yasser Arafat, che per oltre 40 anni aveva guidato il movimento di liberazione palestinese, appare diviso sulla linea politica mentre prosegue l’occupazione militare della Cisgiordania. Si moltiplicano gli interventi sui giornali locali di esponenti di Fatah delusi dalla linea dell’Anp mentre dal carcere il leader più carismatico del partito, Marwan Barghuti, chiede che vengano rinnovati tutti gli organi direttivi dell’Olp per includervi Hamas e decidere un’unica piattaforma nazionale. Due giorni fa inoltre circa 200 intellettuali e personalità politiche, tra i quali Mustafa Barghuti e Mamduh al Aker – hanno firmato un documento di condanna dell’esecutivo in Cisgiordania. Tra i più critici verso Abu Mazen e l’Anp c’è Qadura Fares, ex ministro e deputato, ma soprattutto rappresentante di spicco della nuova generazione di Fatah.
Lei accusa la leadership del partito e quella dell’Anp di aver adottato una posizione ambigua sull’attacco a Gaza…
Sono stati 22 giorni di morte e distruzione a Gaza e noi avremmo fatto bene ad essere vicini alla nostra gente. Invece Fatah, o almeno una parte della sua leadership, ha scelto di non ascoltare il grido di dolore dei palestinesi che giungeva da Gaza ma anche dalla Cisgiordania, dai campi profughi nei paesi arabi e ovunque nel mondo. La nostra polizia ha persino usato le maniere forti per impedire le manifestazioni contro l’aggressione israeliana. È la prima volta dal 1965 che Fatah non partecipa alla difesa di palestinesi aggrediti da Israele. E non mi riferisco tanto alla difesa armata quanto invece all’atteggiamento politico. L’Anp gradualmente sta diventando come quei regimi arabi che noi palestinesi abbiamo sempre condannato.
Abu Mazen ha attribuito la responsabilità dell’attacco israeliano ad Hamas. Quali saranno le ricadute nei Territori occupati di queste dichiarazioni?
In realtà Abu Mazen ha espresso un giudizio più articolato. Più espliciti di lui nell’addossare tutto ad Hamas sono stati alcuni suoi consiglieri, come Nemer Hamad. Quali saranno le conseguenze? Molto negative per Fatah. Da quando abbiamo perduto le elezioni (gennaio 2006) a vantaggio di Hamas, abbiamo continuato a ripetere che occorre recuperare e cancellare gli errori commessi in passato. E invece continuiamo a rimanere al palo. Non solo, ma critiche al nostro modo di fare arrivano persino da quei paesi che aiutano la macchina bellica americana. Gruppi di giovani kuwaitiani hanno contestato Abu Mazen al suo arrivo (ieri al vertice economico di Kuwait city, ndr) e il Qatar che ospita i comandi militari statunitensi ora si propone come sostenitore della «rivoluzione palestinese». Ciò era impensabile appena qualche anno fa.
Come pensate di uscire da questo vicolo cieco. Tenendo finalmente il congresso di Fatah che non viene convocato da quasi 30 anni?
(Sorride). Il congresso di Fatah? Tutti sanno che non si terrà mai. Abu Mazen mente quando annuncia la prossima convocazione dell’assemblea del partito, perché in Fatah ci sono gruppi di potere, legati in particolare alla vecchia generazione, che paralizzano tutto. Hanno troppo da perdere dal rinnovamento. Il dibattito interno peraltro si è bloccato dopo il colpo di stato di Hamas a Gaza. Criticare viene considerato un tradimento di fronte ai pericoli che minaccerebbero il partito. Molti si autocensurano o parlano a bassa voce nel timore di essere identificati come «disfattisti».
Ma in questo modo Fatah va verso una nuova sconfitta, quando si terranno le elezioni.
Il rischio è elevato e non è solo legato alle elezioni. Il pericolo è quello di perdere ogni speranza di vera indipendenza e di fine dell’occupazione israeliana. Bisogna avere il coraggio di interrompere le trattative con Israele, rinunciare ai fondi esteri che ci stanno comprando e anche sciogliere l’Anp. Prima del 1994 non c’era l’Anp eppure i palestinesi vivevano ugualmente. Sarebbe un modo per rendere chiaro alla comunità internazionale che i palestinesi hanno una sola voce e che insieme chiedono una pace giusta, fondata sulla legalità e la giustizia.