Il problema che pone Cavallaro non riguarda tanto l’eterna diatriba fra protezionismo e liberismo, ma piuttosto il ruolo che il popolo di Seattle può e deve assumere. Dopo aver abilmente costruito una provocazione fertile attingendo da un Carlo Marx che non è Marx, in quanto decontestualizzato (ha ragione, Serse Saruis, manifesto del 15 agosto), Cavallaro pone il problema reale: cosa vuole il popolo di Seattle? Se è vero che questo movimento cerca di costruire delle alternative all’attuale sistema di “privatizzazione globale” (per dirla con J. Halevi, 14 luglio), quale concretezza assumono queste alternative? Ovvero – usando le parole di Krugman che Cavallaro cita – dobbiamo arrenderci al fatto che “gli unici in grado di fare qualcosa per migliorare le condizioni del pianeta sono i policy makers assediati, mentre i dimostranti, sarebbero gente senza cervello innamorata del proprio idealismo”?
Cavallaro sostiene che c è una contraddizione forte alla base delle proposte che il movimento avanza: le forze morali (egoismo, motivazione al profitto…) che provocano ineguaglianza, devastazione ambientale e sfruttamento, sono le stesse che al contempo permettono agli individui di cooperare, quindi di produrre, consumare e gestire la distribuzione delle risorse.
Queste possono essere rimosse “solo istituendo un’autorità centrale che stabilisca, attraverso un piano mondiale, cosa, come e per chi produrre”. Queste considerazioni pongono il problema politico per eccellenza, quello del rapporto fra economia e società, questione, che l’economista Claudio Napoleoni – in un inedito del 1988 – riponeva nei termini di rapporti tra efficienza del sistema ed alienazione intesa come perdita di soggettività: “Noi potremmo avere un sistema, una situazione in cui il problema dell efficienza globale del sistema sia sostanzialmente risolto o avviato a soluzione e, tuttavia, tutti i problemi attinenti al secondo piano (al piano dell alienazione) siano ugualmente presenti con la stessa, medesima forza”. I due problemi non possono essere risolti insieme: “Non è affatto vero […] che si possa risolvere contemporaneamente il problema di una maggiore quantità di crescita e di una modifica della qualità dello sviluppo”. Il problema sta allora nell’operare una scelta: dobbiamo scegliere se il nostro problema principale sia quello dell’efficienza di un sistema determinato o se sia quello del superamento dell’alienazione, della liberazione dell uomo. Napoleoni concludeva dicendo: “Noi da molto tempo, quasi vergognandocene un po’, abbiamo messo da parte una questione che è radicata nella nostra tradizione, che è quella del capitalismo come sistema storico che in quanto tale può avere una morte, così come ha avuto una nascita. Abbiamo messo da parte tale questione, per una ragione non volgare che va riconosciuta in tutto il suo peso ed era il fatto che l’uscita dal capitalismo non si riusciva mai a definirla in termini positivi, ma soltanto in termini negativi.
Ebbene, io credo che il processo storico sia giunto ad un punto in cui una definizione in positivo di questa uscita possa essere data e cito tre terreni su cui possa essere data, in modo che questa questione, ma perciò la stessa tradizione del marxismo, può essere ripresa senza paura di nessuno”. I tre terreni sono quelli della finalizzazione del progresso tecnico come occasione per ricollocare il lavoro produttivo all’interno della società, della questione femminile come ridefinizione del rapporto tra tempo di produzione e tempo di riproduzione, e la questione della natura. Questi tre punti sono questioni presenti nelle coscienze, negli interessi, nelle spinte sociali, sono punti mobilitanti. Il movimento che nasce e cresce da Seattle a Davos, a Praga, a Genova occupa uno spazio politico che guarda al piano dell’alienazione, della qualità dello sviluppo, della liberazione dell’uomo contro l’esasperazione dell’efficienza e della crescita; con Marx e oltre Marx!
* Lilliput, Bocconi.