Punire il dissenso, salvare il governo

Quando si vince si ha la forza e la voglia di discu teire, quando si stravinca può venire invece la tentazione di non fare prigionieri. Avendo voluto e incassato nelle consultazione dei lavoratori un consenso sul protocollo del 23 luglio superiore all’80%, la maggioranza della Cgil avrebbe potuto ricucire un rapporto con la catego ria dei meccanici e le aree programmatiche contrarie all’accordo. La segreteria nazionale della Cgil, con un’unica eccezione, ha invece scelto di non farlo, e dopo una dura introduzione di Guglielmo Epifani, un dibattito che ha toccato toni anche molto accesi e in qualche caso addirittura insul tanti e delle conclusioni più dialo ganti del segretario, ha posto in votazione un documento che apre il processo al dissenso a livello nazionale, attraverso una consultazione dei gruppi dirigenti. Un dibattito che non sarà solo sulle questioni politiche ma anche sui «comportamenti».
Il voto nel direttivo della Cgil ha formalizzato la rottura della maggioranza congressuale, con il voto contrario dell’area Lavoro e società coordinata da Nicola Nicolosi, che si somma al voto contrario della Fiom e dell’area 28 aprile guidata de Giorgio Cremaschi. Risultato: 8 voti favorevoli, 31 contrari e 1 astenuto. Dunque, oggi la Cgil he un’opposizione intema che sfiora il 30%. Quest’opposizione si è allargata proprio grazie alla deci sione della segreteria di fare i conti, non solo politicamente, con le aree critiche nei confronti del protocollo. Nicolosi ci tiene a precisa re che non è la sua area ad aver messo in discussione la maggioranza uscita dal congresso: chi s è distaccato dalla linea politicé congressuale non siamo noi, «poiché il protocollo del 23 luglio non è certo coerente con le scelte prò grammatiche della Cgil».
Nel dispositivo finale cen’è per tutti: per Lavoro e società, di cui è stata confermata l’accusa di aver partecipato a una manifestazione fiorentina autoconvocatì contro l’accordo; a Giorgio Cremaschi, reo di lesa maestà per le sue accuse di brogli nello svolgimento della consultazione; soprattutto ce n’è per la Fiom, la categoria dei metalmeccanici il cui comitato centrale si era espresse all’80% contro il protocollo. E straordinario, almeno per chi non fa il sindacalista, comprendere la logica per cui si apre il processo contro una categoria che in terpreta fedelmente l’umore de suoi rappresentati, i lavoratori metalmeccanici che si sono espressi a maggioranza per il no Sarà poco sindacale, ma a chi serve viene da pensare che critiche sarebbero semmai state legittime se la Fiom avesse preso posizioni sconfessate dalla sua gente.
Gianni Rinaldini si è detto preoccupato per il clima pesante che ha segnato la due giorni di direttivo. «La ragione principale del mio voto contrario sta in un paradosso: il voto del comitato centrale della Fiom diventa oggetto di discussione in tutti gli organismi dirigenti. Una scelta preoccupante, sospetta. Se la discussione dovesse trasformarsi in un processo alla Fiom e alle aree programmatiche sarebbe un disastro. Ma io voglio coltivare la speranza che alla fine del percorso si possa raggiungere una posizione unitaria». Invece che lanciare accuse di lesa confederalità per un più che legittimo voto contrario, secondo Rinaldini sarebbe decisamente meglio discutere di quale confederazione, cioè di quale sindacato, quale rappresentanza sociale, quale democrazia. Una «discussione a tutto campo prima che i processi politici in corso cadano addosso alla Cgil», in riferimento agli effetti provocati sul sindacato dalla nascita del Partito democratico e dal tentativo di riunificazione delle forze alla sua sinistra. In discussione sono il programma e il percorso della Cgil, la sua autonomia e non il segretario oi gruppi dirigenti: «Se avessi pensato questo avrei chiesto il congresso straordinario».
Nicolosi riconosce la validità e il risultato della consultazione che «dà un mandato alle confederazioni. Resta aperto il problema di come ci si rapporta con opinioni diverse». Anche per il coordinatore di Lavoro e società il percorso deciso dalla maggioranza del direttivo è sbagliato, «assomiglia a un processo su larga scala al dissenso e non apre una discussione sul merito. E rifiuto con nettezza l’accusa, pure emersa in alcuni interventi, secondo cui il dissenso aprirebbe spazi a fascie eversive. E’ un nesso intollerabile. Noi non ci distacchiamo dalla linea congressuale, è Epifani che deve spiegare se c’è stato un cambio di paradigma nella Cgil».
Giorgio Cremaschi non va per il sottile e denuncia «la caccia alle streghe»: «Una discussione che conclude una consultazione che ha visto prevalere il sì senza che si sia concessa legittimità politico-sindacale a quella parte dei gruppi dirigenti che avevano scelto o sostenevano il no, si conclude con un processo politico e un rinvio a giudizio per quegli stessi gruppi dirigenti… Solo i lavoratori, è stato detto, avevano il diritto al no». Un intervento fermo ma razionale, quello del leader dell’area 28 aprile, che ha ricordato l’opposizione dei lavoratori metalmeccanici così come in altre categorie. «L’unica cosa che condivido della relazione di Epifani è che non si può usare la categoria del disagio, che è in tutto il mondo del lavoro, per interpretare il no che invece rappresenta un’altra posizione, un altro giudizio sull’accordo». Cremaschi ha duramente criticato il gruppo dirigente della Cgil («la lotta continua per cambiare la Cgil») e ha concluso evocando il grande rimosso del direttivo: la grande manifestazione contro la precarietà.
Sul versante dell’analisi del voto, il documento conclusivo ripercorre la relazione di Epifani e mette l’accento sulla necessità di la
vorare sul versante dei salari e delle condizioni di lavoro, impegnandosi nelle scadenze contrattuali. Alla Fiom ha proposto un incontro, volentieri accettato, tra le due segreterie per discutere il difficile contratto dei metalmeccanici. Sul versante politico, resta la , priorità della salvezza del governo (priorità che ha avuto un peso decisivo, eccessivo, in tutta la vicenda del protocollo): si ritiene «essenziale per gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate é dei pensionati che rappresentiamo, la stabilità del quadro politico. Senza questa verrebbe messa in discussione la stessa traduzione in legge del protocollo». Un protocollo «migliorato» nella scrittura finale e che la maggioranza della Cgil vorrebbe davvero che fosse finale, senza cambiamenti di qualsiasi natura.
La segreteria ha votato in blocco sì, con l’unica eccezione di Paola Agnello Modica, di Lavoro e società. Tra gli interventi che annunciavano il voto contrario quello dell’ex segretario della Cgil di Brescia, Dino Greco. L’unica astensione è firmata dal segretario della Camera del lavoro di Reggio Emilia, Mirto Bassoli, che nel suo intervento ha espresso un aperto disaccordo con la risoluzione finale.
Entro novembre la discussione nei gruppi dirigenti e poi un nuovo direttivo: per sancire la condanna dei reprobi, o per ricercare un cammino comune? Dipende se prevarrà il confronto sulla crisi della rappresentanza, oppure la resa dei conti nella peggiore tradizione terzinternazionalista. E dipende, ahinoi, dalla durata del governo Prodi.