Pubblico impiego, vicini alla rottura

Si riapre a sorpresa il conflitto tra governo e sindacati sul pubblico impiego. Per quanto poco fosse previsto dalla finanziaria in tema di «riassorbimento» dei lavoratori precari – appena 8.000 da assumere nell’anno in corso, al fianco di una promessa a risolvere integralmente il problema nell’arco della legislatura – era sembrato comunque importante iniziare un percorso caratterizzato da criteri certi. Com’è noto, nella pubblica amministrazione da quasi 20 anni esiste il blocco del turn over: chi va in pensione non viene sostituito. Ulteriore complicazione: lo stato assume solo tramite concorso (il periodo di precariato conta nulla ai fini concorsuali, «la raccomandazione» tanto).
La macchina amministrativa, per poter continuare a funzionare, è ricorsa a dosi sempre più massicce di «contratti a tempo determinato» (o altre formule «atipiche»), fino a comprendere circa 400.000 dipendenti statali a tutti gli effetti pratici, tranne che per i diritti. Dal punto di vista contabile, questa spesa viene annotata sotto la voce «beni e servizi» (un capitolo «elastico» e rivedibile) invece che in quella «spese per il personale». Assumere questi precari ( come richiedono e come sarebbe perfettamente logico, visto che alcuni possono ormai vantare una «carriera» ultradecennale) non costerebbe un euro più, ma risulterebbe comunque un «aumento» delle «spese fisse». Sarà per questo che il giornale di Confindustria, venerdì, titolava in prima pagina «La corsa al posto fisso: rischio di 400.000 assunzioni».
Cgil, Cisl e Uil, inoltre, avevano sottoscritto un «memorandum» con il governo per stabilire punti condivisi su come procedere nel riassetto generale della macchina pubblica. Un accordo contestatissimo da tutti gli altri sindacati rappresentativi – «il via allo smantellamento», l’hanno definito – ma anche questo disatteso. E’ perciò finito malissimo l’incontro di giovedì tra i «confederali» e il sottosegretario alla funzione pubblica, Gian Piero Scanu, mentre il ministro Nicolais annunciava un decreto «interpretativo» di quanto previsto nella finanziaria. Troppe, a giudizio del dicastero, le figure che potrebbero usufruire di quelle norme; ma soprattutto si teme la «rottura degli argini» da parte degli enti locali (le elezioni amministrative sono alle porte).
D’altro canto, solo quest’anno dovrebbero andare in pensione 90.000 dipendenti pubblici veri», ma si prevedono assunzioni pari al 60% di questo numero, e naturalmente per concorso. Peggio ancora: solo il 40% dei posti verrebbe in qualche misura riservato agli attuali precari (tramite la norma che calcola come «titolo di merito» l’aver già lavorato con contratti a tempo determinato).
I segretari confederali Paolo Nerozzi (Cgil), Gianni Baratta (Cisl) e Paolo Pirani (Uil), all’uscita hanno dichiarato tutta la loro «insoddisfazione» di fronte alla «assoluta mancanza di proposte», sia per quanto riguarda «l’attuazione del memorandum» che per «un piano di legislatura che porti alla scomparsa del precariato». Poiché non ha fatto la sua comparsa neppure «una lettura condivisa e indirizzi comuni» sul «campo di applicazione della legge finanziaria», ecco che «perdurando tale situazione, non potremo che ricorrerre ad iniziative di mobilitazione».
Posizione che non ha convinto molto i sindacati che non hanno sottoscritto il «memorandum». Le RdB, che nel pubblico impiego – e soprattutto tra i precari – hanno già dimostrato di avere un seguito importante, hanno ironizzato su questa «minaccia» parlando di «atteggiamento quantomeno schizofrenico» (in riferimento alla firma degli accordi che hanno reso possibile l’occupazione precaria nel settore pubblico) e ricordando che «lo sciopero è stato già indetto: per il 30 marzo».
Il 21, intanto, ci sarà un nuovo incontro del «tavolo sul precariato» convocato dal ministro Nicolais. Saranno presenti tutti i sindacati che hanno superato la soglia del 5% nelle elezioni per le Rsu, con proposte perciò anche molto dissonanti tra loro: da una parte il «memorandum» e le sue conseguenze, da un’altra la rivendicazione di una «sanatoria programmata e generalizzata del precariato e la reinternalizzazione di servizi» dati all’esterno; da un’altra ancora le richieste corporative di parte della dirigenza. Anche su questo terreno, insomma, il governo mostra un vuoto di progetto ogni giorno più preoccupante.